La grande sconfitta della logistica, Zilocchi (Cgil) “Piacenza non cresce, serve modello diverso di sviluppo”

E’ un ritratto in nero, quello che esce dalle pagine del rapporto Ires sull’economia e il lavoro di Piacenza, commissionato dalla Camera del Lavoro da 11 anni a questa parte.

A determinare questa osservazione non sono tanto i 2.481 piacentini scomparsi da marzo a giugno del 2020, contro una media di decessi di 1.48 (nello stesso periodo, tra il 2015 – 2019), ma l’effetto covid su un’economia più fragile di quanto non pensassimo. Negli ultimi anni molto si è investito sulla logistica, una realtà che se da un lato ha consentito di dare una risposta efficace dal punto dell’occupazione, dall’altro garantisce stipendi bassi, senza portare valore aggiunto al nostro territorio, penalizzato dalla crisi di realtà sì di eccellenza, anche a livello mondiale, come quelle dell’oil and gas e delle macchine utensili.

“Occorre invertire alcune tendenze – sottolinea Gianluca Zilocchi, segretario provinciale della Cgil, nel commentare l’analisi curata da Davide Dazzi di Ires Emilia Romagna -. Il dato centrale che emerge, in continuità con gli anni precedenti, è come il valore aggiunto della provincia di Piacenza sia fortemente inferiore rispetto alla media regionale. Siamo ai livelli di Ferrara, una realtà rimasta molto colpita dal terremoto anni fa. E’ significativo – commenta il sindacalista – come questo sia allegato al tipo di imprese presenti sul territorio. Piacenza qualche decennio fa era punto di riferimento per macchine utensili, oil and gas attirando anche capitali esteri. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un aumento dei centri commerciali e, di conseguenza, di investimenti sulla logistica. Settori che non vanno demonizzati, perché hanno garantito posti di lavoro, ma in assenza di politiche di sviluppo chiare e nette, in grado di attirare imprese anche di altra natura, rischiamo di attestarci su un livello che non dà prospettive di crescita”.

Nei prossimi mesi arriveranno risorse importanti a Piacenza, da Regione, Governo e Europa. “Il nostro territorio ha bisogno di scegliere – conclude – nessuno ha la ricetta in tasca. Ma è giunto il momento di attivare il tavolo dello sviluppo”, dove ciascuno, enti, associazioni di categoria, parti sociali, “dal suo punto di osservazione possa offrire il proprio contributo per  evitare la stagnazione della nostra economia”.

L’ANALISI – Nel 2020 si è abbattuta a Piacenza, così come in diverse città del Nord Italia, la pandemia da Covid-19. Piacenza, insieme a Parma, è tra le prime 10 province italiane per tasso di crescita dei decessi nel periodo marzo-giugno (+107%): 2.481 decessi a marzo-giugno 2020 a fronte della media 1.148 (2015-2019). La pandemia si abbatte su una curva demografica sostanzialmente statica ormai da anni. La staticità demografica è il risultato di un saldo naturale altamente negativo, a cui i flussi migratori interni ed esteri, pur in continua crescita, non riescono ad opporre resistenza. Sebbene la popolazione rimanga statica, a cambiare è la sua composizione in termini di età. Piacenza presenta una età media strutturalmente superiore all’Emilia-Romagna (46,9 anni a fronte del 46,4 anni a livello regionale) e una quota di grandi anziani sempre al di sopra della media regionale (13,6% a fronte del 12,8% in Emilia-Romagna nel 2020). L’invecchiamento della popolazione porta con sé una necessaria riorganizzazione delle politiche sociali territoriali da orientare alla domiciliarità, anche per far fronte alla crescita di famiglie unipersonali (ovvero di persone che vivono da sole). 

In termini di valore aggiunto, Piacenza è tra le due province in regione a non avere recuperato i valori del 2007. La crisi del 2020, dunque, si inserisce nel ritardo strutturale dell’economia piacentina. Nel triennio 2015-2018 si rileva una crescita sensibile (+3,35%), a cui si contrappone prima un 2019 in frenata e poi un 2020 in forte calo (-10,9%). La caduta del valore aggiunto stimato a Piacenza a seguito del Covid-19 è seconda in Emilia-Romagna solo a quella attribuita alla provincia di Rimini (-11,1%). Il rimbalzo positivo previsto nel 2021 è, tuttavia, attribuibile ai settori industriali (+14,4%, in linea con il +13,6% della Emilia-Romagna) e meno ai servizi (+4,4%, a fronte del +4,1% registrato a livello regionale) e sarà sempre trainato dall’export, le cui performance si sono sempre mantenute superiori alla media regionale sia nel 2019 che nel 2020.

Nel contesto regionale, il tessuto produttivo piacentino continua a contrarsi ad una velocità superiore anche nel corso del 2020. Da un punto di vista strutturale, tuttavia, è da evidenziare come la scelta di costruire un modello produttivo sulla logistica non abbia prodotto un vantaggio competitivo in termini di generazione del valore aggiunto. Investimenti su settori industriali a più alto valore aggiunto (Oil & Gas e industria meccanica) avrebbero, invece, il merito di garantire una più alta capacità marginale di produzione di ricchezza per il territorio.

Il mercato del lavoro nel 2019 a Piacenza mostra una sostanziale staticità dell’andamento occupazionale e conferma una dinamica più lenta rispetto al livello regionale, nonostante una performance incoraggiante della componente femminile della forza lavoro. Il ritardo strutturale dell’economia piacentina rispetto al valore aggiunto si manifesta anche in un divario retributivo. Nel 2019, la retribuzione media a Piacenza è 22.411 euro lorde annue a fronte dei 23.757 euro in Emilia Romagna.  Grazie al blocco dei licenziamenti e all’eccezionale ricorso agli ammortizzatori sociali, la flessione del numero di occupati non segue il trend disegnato dalla quantità di lavoro (Ula). A Piacenza nel corso del 2020, ad una caduta del -10% della quantità di lavoro, corrisponde una caduta dell’occupazione pari a -2,6%. Il rimbalzo previsto nel 2021, sulla base delle ultime stime Prometeia, vede un recupero del +4,8% a Piacenza della quantità di lavoro (Ula). Così come la caduta dell’occupazione è meno precipitosa, così anche il recupero occupazionale nel 2021 appare più contenuto (-0,3%). Lo scenario, dunque, è di una ripresa senza occupazione.

I dati di flusso evidenziano una perdita netta di -2.825 posizioni di lavoro nel periodo marzo-maggio. A causa del blocco dei licenziamenti, la perdita è totalmente da imputare ai contratti a tempo determinato, somministrazione e apprendistato e in larga parte ai servizi legati alla logistica.

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