Opera Pia Alberoni, restaurata la lapide dedicata a Giuseppe Manfredi

Da qualche tempo è tornata perfettamente leggibile la lapide affissa sulla facciata di Palazzo Chiappini, in via x giugno 3, sede dell’Opera Pia Alberoni, dedicata a un illustrissimo piacentino: Giuseppe Manfredi (Cortemaggiore 1828 – Roma 1918), giurista, politico e patriota italiano che nel Palazzo, come recita il testo, “Negli anni dello occulto travaglio / per rendere la patria libera e una / qui / ai piacentini della Società Nazionale / dava diuturno convegno (…).

Giuseppe Manfredi infatti svolse un’intensa attività antiaustriaca e fu tra i promotori di un comitato insurrezionale piacentino, che poi si trasformò nel comitato piacentino della Società nazionale, di cui divenne presidente. Sede di queste attività e avamposto del suo impegno patriottico fu proprio la sua casa in via Fodesta, ora via X giugno. L’Opera Pia Alberoni, proprietaria dell’antico Palazzo, acquistato dalla famiglia Chiappini nell’anno 1881, e da quel tempo divenuto sua prestigiosa sede, ha infatti, nei mesi estivi, avviato e organizzato un intervento di restauro volto a restituire alla lapide la sua funzione di memoria storica e la sua piena leggibilità.

L’intervento, autorizzato dalla competente Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza, è stato condotto dal restauratore Luca Panciera, con la direzione lavori di Anna Coccioli Mastroviti della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza, e finanziato da Carlo Emanuele Manfredi, discendente del giurista e patriota ricordato sulla lapide. Il restauro ha dovuto fare fronte ai segni lasciati dal tempo e dagli agenti atmosferici sulla superficie. L’intervento è quindi consistito in varie tipologie di puliture e lavaggi della superficie marmorea e nella rubricatrura, con colore nero, delle lettere incise che costituiscono il testo della lapide e che risultavano totalmente dilavate.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti e ha riattivato la piena efficienza di una testimonianza di storia piacentina così importante. “Sappiamo infatti, come ci ricorda il motto latino, – sottolineano dall’Opera Pia Alberoni – che i racconti orali (verba) stentano a resistere al tempo, mentre gli scritti (scripta) restano anche oltre le capacità della memoria umana. E’ anche per questo motivo che le parole incise nel marmo che costituiscono le lapidi, in ogni tempo e civiltà, hanno costituito un modo efficace di fissare, spesso abbinate a importanti architetture, il ricordo di eventi e personaggi che costituiscono la nostra identità e la storia del nostro popolo”.

Giuseppe Manfredi fu uno di questi importanti personaggi e protagonisti del sorgere dell’Italia unita. Come testimoniato da coloro che lavorano negli uffici dell’Opera Pia Alberoni, non è raro che cittadini si soffermino ai piedi della lapide per cercare di decifrarne il testo. Dopo il restauro un’importante pagina di storia locale e nazionale torna a essere raccontata e percepibile da tutti sulla facciata di Palazzo Chiappini.

Il testo della lapide dedicata a Giuseppe Manfredi – “Negli anni dello occulto travaglio / per rendere la patria libera e una / qui / ai piacentini della «Società Nazionale» / dava diuturno convegno / Giuseppe Manfredi / primo ai rischi e in sapiente osare mirabile / allor che dittatore di Parma e Piacenza / vita e storia concluse dell’antico ducato / nei fasti della Nuova Italia / 1857-1859 / A testimonianza perenne / Fra i fulgori di più alte mete oggi raggiunte / l’Opera Pia Alberoni pose / 10 giugno 1937 //

La lapide venne fatta affiggere proprio dall’Opera Pia Alberoni il 10 giugno del 1937. Una data non scelta a caso. Fu proprio in quello stesso giorno 10 giugno, ma dell’anno 1859 che, a seguito delle sconfitte subite in Lombardia ad opera dell’esercito franco-piemontese, gli Austriaci lasciarono Piacenza attraverso le Porte Fodesta e Borghetto. Piacenza, libera militarmente, rinnovò il voto di annessione al Regno di Sardegna e al governo dei Ducati venne chiamato Giuseppe Manfredi, rifugiatosi nel frattempo a Torino per evitare l’arresto.

Giuseppe Manfredi (Cortemaggiore 1828 – Roma 1918) Politico e patriota italiano, si formò presso il Liceo di San Pietro, retto dai Gesuiti, per poi laurearsi in Giurisprudenza a Parma nel 1849. Tre anni dopo, il 27 nov. 1852, sposò Paolina Giuditta Bertani, da cui ebbe sei figli: Filippo, Clara, Vittorio, Manfredo Emanuele, Ernestino e Leopoldo. Dopo aver ottenuto nel novembre 1854 un primo incarico di insegnamento (diritto amministrativo ed economia politica) presso la facoltà piacentina, nel maggio 1855 divenne titolare della cattedra di diritto civile, che tenne fino ai moti politici del 1859. Nel frattempo continuò a coltivare i propri ideali liberali e patriottici, esercitando una forte attività antiaustriaca. Mantenne contatti con gli esuli che erano fuggiti nel Regno di Sardegna, fu tra i promotori di un comitato insurrezionale piacentino, che poi si trasformò nel comitato piacentino della Società nazionale, di cui divenne presidente. Sede di queste attività e avamposto del suo impegno patriottico fu proprio la sua casa in via Fodesta, ora via X giugno.

Nel maggio 1859, colpito da mandato di arresto del comando militare austriaco, fu costretto a riparare in Piemonte. Ma la sua assenza dalla città fu breve: ritiratesi definitivamente le truppe austriache, il 10 giugno 1859, Manfredi fu eletto membro di una commissione di governo, insieme con G. Mischi e F. Gavardi, che guidò la città fino all’arrivo del commissario del Regno di Sardegna, il conte D. Pallieri. Questi, tuttavia, fu ben presto costretto ad abbandonare il Ducato in conseguenza dell’armistizio di Villafranca, e il Manfredi, che nel frattempo si era visto assegnare la direzione dell’Interno, assunse la carica di governatore provvisorio. Eletto deputato al primo parlamento italiano, nel Marzo del 1860, lasciò la politica al termine della legislatura per dedicarsi alla carriera di magistrato che lo vide protagonista nei palazzi di giustizia di Casale Monferrato, Perugia, Catania, Bologna, Roma, raggiungendo l’apice della sua carriera con la nomina a Procuratore Generale della Corte di Cassazione a Firenze, avvenuta nel 1881.

La sua l’attività di magistrato si intrecciò, in quegli anni, con quella di senatore. Decano del Senato, ne divenne prima vicepresidente, nel 1907, e poi presidente l’anno seguente. Morì il 6 Novembre 1918, due giorni dopo la fine della Grande Guerra. Riposa nella Basilica di San Francesco in Piacenza. Vittorio Emanuele III, riconoscendone gli alti meriti, gli aveva conferito, nel 1908, il titolo di cavaliere dell’Ordine supremo della Ss. Annunziata e nel 1911 quello nobiliare di conte.

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