Stipendi, Piacenza al decimo posto in Italia tra le province che pagano meglio

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Piacenza al decimo posto in Italia tra le province in cui i lavoratori sono meglio pagati.

E’ quanto emerge dal report annuale dell’Osservatorio JobPricing (SCARICALO QUI) – realizzato in collaborazione con Spring Professional – che analizza e valorizza le differenze retributive tra le varie regioni e province italiane e restituisce una classifica puntuale delle stesse sulla base dei livelli retributivi medi. Secondo il dossier, nella nostra provincia la retribuzione media registrata nell’ultimo anno è di 31.446 euro. Un valore superiore alla media nazionale, che si attesta sui 30.054 euro, e che consente a Piacenza di fare un balzo di ben sette posizioni rispetto all’anno scorso, in cui si era posizionata al 17esimo posto. La prima posizione di questa speciale graduatoria è occupata da Milano, seguita da Bolzano e Trieste. A livello regionale, invece, Piacenza è al terzo posto, dietro Bologna e Parma.

“Questo è un anno che più di altri merita delle premesse particolari che possano contestualizzare l’analisi dei “mercati retributivi territoriali” – spiega il dossier -. Il 2020 è stato, infatti, investito da una crisi sanitaria ed economica globale, che sta avendo ripercussioni eccezionalmente negative: il Fondo Monetario Internazionale stima una diminuzione del PIL globale del 4,4% e il PIL italiano, invece, secondo la Commissione Europea diminuirà del 9,9%. In Italia, dall’inizio dell’anno a novembre, le attività produttive non essenziali (circa il 45% delle imprese italiane, ISTAT) si sono fermate per quattro mesi, e, a seguito delle nuove misure di contenimento dell’emergenza sanitaria di novembre, i mesi di fermo si accingono ad aumentare. In aggiunta, ci sono stati inevitabili cambiamenti nelle modalità di lavoro e di consumo, facendo sì che nessun agente economico rimanesse esonerato dalle conseguenze di questa crisi, neanche quei settori dell’economia che non sono stati messi in pausa (il 51% delle imprese dichiarava a giugno un rischio di liquidità, ISTAT)”.

“Non sorprende, allora – viene sottolineato -, che gli indicatori del mercato del lavoro mostrino dei dati tutt’altro che incoraggianti: ISTAT registra che il livello degli occupati a settembre 2020 è inferiore di 330mila unità rispetto a febbraio 2020; il numero dei disoccupati superiore di circa 40mila unità e quello degli inattivi è cresciuto di oltre 220mila unità. Queste variazioni non sono però equamente distribuite tra il territorio nazionale. Rispetto al secondo trimestre 2019, contrariamente al tasso di occupazione che è diminuito di circa 2 punti percentuali in maniera omogenea, il tasso di disoccupazione è diminuito rispettivamente di 0,8 punti percentuali al Nord, 3 punti al Centro e 3,2 punti nel Mezzogiorno, mentre il tasso di inattività è aumentato rispettivamente di 2,7 punti percentuali al Nord, 4 punti percentuali al Centro e 4,4 punti nel Mezzogiorno”.

“Questo scenario eccezionalmente negativo ed incerto ha avuto importanti conseguenze sul mercato retributivo italiano, che ha visto per il periodo 2019-2020 una variazione della RGA media nazionale del -1,8%. Questo dato negativo è principalmente riconducibile alla parte variabile delle retribuzioni: la crisi economica ha infatti indotto le imprese a tagliare sul costo del lavoro, ove possibile. Se infatti si guarda alle retribuzioni fisse (RAL), si scopre che queste sono essenzialmente congelate e presentano una variazione dello 0,1%. Se da una parte le retribuzioni fisse full-time rimarranno stagnanti, anche a seguito del blocco dei licenziamenti nazionale che al momento della scrittura di questo report è esteso fino a marzo 2021, dall’altra è altamente incerto quello che succederà alle retribuzioni globali in quanto strettamente connesso alla durata della crisi”.

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