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Dalle vicende americane un monito alle democrazie

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Quanto sta accadendo in questi giorni negli Stati Uniti, deve essere un monito per le democrazie dell’intero Pianeta.

Un giorno, il tanto apprezzato ex Presidente della Repubblica Sandro Pertini, disse: “è meglio la peggiore delle democrazie della migliore di tutte le dittature”. Nessuna persona di buon senso sarebbe in disaccordo con questa affermazione. Ma, trascorso un secolo dalla devastante esperienza della dittatura fascista, ritengo sia opportuno aggiungere una congiunzione avversativa alla frase dell’ex Presidente. Quella congiunzione avversativa tanto cara alla politica, abile strumento del dire e non dire, dell’affermare e del negare. Quella congiunzione avversativa del “però”, che può portare il discorso verso un formale nulla di fatto, oppure che può introdurre una sostanziale revisione del significato del discorso iniziale (o portante).

Perché se analizzassimo in modo critico l’aforisma di Pertini, potremmo dedurne che “la peggiore delle democrazie” dovrebbe essere una democrazia “debole”, o addirittura “vacillante”, e quindi potenzialmente attaccabile da “derive autoritarie”. Oppure, situazione ancora peggiore, una democrazia debole potrebbe corrispondere formalmente ad una democrazia che nasconde in realtà una sostanziale dittatura. E’ il caso della vicina Turchia, che con un Democracy Index pari a 4.09, viene collocata al 110° posto della classifica delle democrazie mondiali (su un totale di 167) e più precisamente tra le cosiddette “democrazie ibride”, ad una piccola distanza tra i “regimi autoritari”.

Il Democracy Index Il Democracy Index (Indicatore di Democrazia) è un indice calcolato da l’Economist Intelligence Unit (EIU) Index of Democracy, del settimanale The Economist, che esamina lo stato della democrazia in 167 paesi. L’indice viene calcolato su cinque categorie generali: processo elettorale e pluralismo, libertà civili, funzione del governo, partecipazione politica e cultura politica. Le nazioni sono divise in quattro categorie: Democrazie complete (Full democracy) con indice da 8.0 a 10; Democrazie imperfette (Flawed democracy) con indice da 6.0 a 7.9; Regimi Ibridi (Hybrid regime) con indice da 4.0 a 5.9; Regimi autoritari (Authoritarian regime) con indice da 0 a 3.9. Fonti informative: EIU Democracy Index; Wikipedia.

Come stanno le democrazie dei Paesi più democratici del Pianeta? – I primi 10 posti in classifica sono occupati dai Paesi Nordici assieme al Canada (9.03). Tra le “democrazie complete” (o Full democracy) troviamo anche Germania (13° con indice 8.68), Gran Bretagna (14° con indice 8.52), Austria e Spagna (16° con indice 8.68) e Francia (20° con indice 8.12).

E Italia e Stati Uniti d’America? – Secondo l’Economist Intelligence Unit Index of Democracy, Italia e USA si trovano rispettivamente al 35° e al 25° posto, nella categoria delle “democrazie imperfette” (o Flawed democracy) assieme a Giappone e Israele rispettivamente al 24° e 28° posto. L’Italia, che nel 2016 occupava il 22° posto con indice pari a 7.99 (quindi al confine con la categoria delle democrazie complete), oggi si trova al 35° posto con indice pari a 7.52. Una posizione che non ci meraviglia essendo uno dei Paesi al mondo con alto tasso di burocratizzazione, una classe politica tra le peggiori e una significativa propensione alla corruzione. Ciò che invece ci sorprende è trovare gli Stati Uniti d’America, il Paese democratico per antonomasia, nella categoria delle democrazie imperfette (al 25° posto con indice pari a 7.9).

Ma perché gli USA sono considerati una democrazia imperfetta? – Innanzitutto va precisato che il basso tasso di democrazia è frutto dell’espressione popolare. Quindi evidenzia l’opinione della maggioranza delle persone intervistate, a prescindere dal reale livello di democrazia del Paese. Che se per alcuni Paesi l’opinione corrisponde alla realtà, come nel caso della Turchia, per altri evidenzia in sostanza un disagio sociale. Quel disagio che nel novembre del 2016 ha portato la maggioranza degli elettori americani a scegliere l’“antidemocratico” Donald Trump come Presidente.

Aggettivo che se fosse stato utilizzato allora, avrebbe scatenato l’indignazione di molti destrorsi benpensanti, ma “mal valutanti”, permettetemi il neologismo, ma che alla luce di ciò che è avvenuto in questi ultimi mesi – dalla proclamazione di (im)probabili brogli elettorali fino alla penosa e grave vicenda dell’assalto al Congresso – ha evidenziato in modo inequivocabile che l’aggettivo “antidemocratico” risulterebbe alquanto benevolo, nei confronti di un uomo che è stato definito “un narcisista con forti disturbi della personalità”. Perché è proprio questo il punto. Ciò che è accaduto negli USA in questi ultimi mesi, ha evidenziato la fragilità della più grande democrazia del mondo. Una democrazia che concede al proprio Presidente un potere assoluto, (in)degno di una qualunque monarchia assoluta, tale da permettergli di adottare misure per destabilizzare la democrazia di cui egli dovrebbe essere tutore, protettore, garante.

Tornando all’aforisma di Pertini (“è meglio la peggiore delle democrazie della migliore di tutte le dittature”), alla luce di quanto finora espresso, e considerando i fatti gravi che hanno interessato gli Stati Uniti d’America, mi verrebbe da dire che no, che non può esistere “la peggiore delle democrazie”. Siamo di fronte ad un ossimoro, ad una evidente contraddizione. La democrazia, essendo espressione del popolo, deve essere in grado di proteggersi da qualunque “manovra” che tenda alla sua destabilizzazione. Con regole certe, scritte e condivise da tutti i rappresentanti politici, e con l’automatica espulsione da incarichi politici di chi non rispetta tali regole.

La richiesta di impeachment del presidente USA o addirittura il ricorso al 25° emendamento (la norma che permette al vicepresidente, con l’appoggio del governo, di rimuovere un presidente incapace), è la giusta risposta dell’America democratica, e non di una fazione politica, ad un uomo che ha di fatto attentato alla sua stabilità. Perché ciò che va rimosso da quell’importante carica politica, non è il Donald Trump politico, repubblicano, ma il cittadino Donald Trump, a prescindere dalla fazione politica a cui appartiene, repubblicana o democratica che sia.

John Feinstein, uno dei giornalisti più seguiti nel mondo sportivo a stelle e strisce, sull’online di GolfDigest, avrebbe scritto: “la PGA of America cambi sede al PGA Championship 2022, lo porti via dal Trump National di Bedminster, nel New Jersey. Lo annunci oggi e chiarisca una volta per tutte: non vogliamo aver più nulla a che fare con l’ormai prossimo ex presidente Donald J.Trump”. Una presa di posizione nel rispetto del “codice etico” della “PGA of America” (la più grande associazione golfista del mondo). Una presa di posizione che Feinstein così conclude nel suo lungo articolo: “oggi siamo davanti a un’altra possibile svolta: stare lontani dall’uomo Donald Trump, non dal Donald Trump politico. Così diventerà chiaro a tutti che chi incita alla violenza per qualsiasi ragione in qualsiasi situazione futura non è il benvenuto nel golf.

Non sarebbe male che il mondo della politica, tutta, destra e sinistra, dicesse la stessa identica cosa. Ma per alcuni di loro, sarebbe un autogol. Ma le regole vanno cambiate, se vogliamo avere delle democrazie più forti.

Andrea Lodi (economix@piacenzasera.it)

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