L’esonero di Manzo fallimento di tutta la società IL COMMENTO

Più informazioni su

No, caro Piacenza, così non va.

L’esonero di Vincenzo Manzo era scontato. Già da dicembre si era capito che la sua permanenza sulla panchina biancorossa era solo questione di giorni e sarebbe scattata alla prima sconfitta. Questa è arrivata; non importa in che modo e le validissime attenuanti come il rigore sbagliato, un gol regolare annullato, un’espulsione forse affrettata ma senz’altro improvvida e tre occasioni fallite da attaccanti assolutamente inadatti.
 Di tutto questo ha pagato, come nelle peggiori abitudini, soltanto l’allenatore, quel Vincenzo Manzo che agli inizi, prima dell’arrivo della pandemia del covid che ha colpito, oltre lo stesso Manzo, quasi metà rosa, aveva suscitato tanti consensi per alcune prestazioni davvero esaltanti.

A nostro avviso, però, l’esonero di Manzo non è il fallimento di un allenatore, ma di tutta la società; una società che, nonostante le difficoltà economiche, forma una rosa di circa 30 giocatori di livello assolutamente mediocre (salvo qualche rara eccezione) prelevati dalle serie inferiori o dai settori giovanili. Che senso ha pagare una trentina di giocatori mediocri? Per costruire una squadra competitiva occorreva formare un blocco portante di almeno mezza dozzina di giocatori di categoria e circondarli di giovani promesse fino ad una rosa di soli 18 giocatori semiprofessionisti, attingendo nel caso e nella necessità dal settore giovanile. Il rendimento di un buon giocatore è senz’altro superiore a quello di due giocatori mediocri, perché è la qualità, e non la quantità, a dare consistenza ad una squadra con una spesa probabilmente inferiore.

Inoltre una buona classe dirigenziale deve sempre e comunque difendere il proprio allenatore, fargli sentire la vicinanza e fiducia e mai metterlo in discussione, sia davanti ai giocatori che all’opinione pubblica.
 Quindi avremmo tanto piacere di conoscere le ragioni di questo esonero perché, pur avendo seguito la squadra in tutte le partite, non riusciamo a trovare colpe specifiche da addebitare al tecnico. Ai giocatori è stata data la possibilità di dimostrare le proprie qualità ed anche gli schemi di gioco sono stati spesso corretti e riveduti, ma è difficile fare le nozze coi fichi secchi. Non ci risulta, infine, che ci siano motivazioni di spogliatoio; la squadra, salvo la partita di Lucca, ha sempre dato quanto era nelle sue possibilità e sul piano dell’impegno non ci sentiamo di poter muovere appunti.

Chiudiamo rievocando un episodio di storia biancorossa. Quando si era in serie B e la squadra occupava gli ultimi posti della classifica, ai tifosi che contestavano in modo eclatante l’allenatore Gigi Cagni il presidente Ing. Garilli replicò che l’allenatore era un patrimonio della società e chi amava la società doveva amare anche il suo allenatore. Quindi diede al D.S. Marchetti l’incarico di acquistare i giocatori necessari. Così fu ed il Piacenza l’anno successivo conquistò la serie A alla guida di Cagni.


Luigi Carini

Più informazioni su

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di PiacenzaSera, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.