“Una casa sull’albero”, la riflessione di un barista sul mancato rispetto delle regole

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La riflessione del barista Giacomo Brigatelli su come, il mancato rispetto delle normative anticovid, abbia l’effetto di far adottare misure ancora più stringenti, con gravi ripercussioni su tutti.

Sono le cinque del mattino.
Suona la solita sveglia.
Giù un piede, poi l’altro.
Mi muovo come, nei miei sogni di bambino, penso si sia sempre mosso Babbo Natale: nell’ombra, in silenzio, per non svegliare i piccoli…
Cerco le pantofole che, dannazione, non sono mai dove ricordo di averle lasciate.
Un passo, l’altro. La cucina. Il caffè.
Già, il primo caffè del giorno è per me; perché tutti gli altri sono, da anni, quelli per i miei “ragazzi”: le donne e gli uomini, i bambini che da lì a poco varcheranno la soglia del mio bar.
Del nostro, direi.
Sì, perché il mio bar è sempre stato anche un po’ loro, come una casa sull’albero nel giardino di tutti.
Da un anno a questa parte, ho chiesto ai “ragazzi” di giocare ai banditi del West: mascherati.
Ho chiesto loro di entrare con ordine, di stare reciprocamente lontani, di non vedermi per giorni, di rimandare gli aperitivi per un po’.
E loro, i ragazzi, hanno sempre dimostrato di starci: sapevano che la mia casa sull’albero non sarebbe mai caduta. Sapevano che, per amore del genere umano e di loro stessi, avrebbero solo rimandato quel tempo di risate.
La mia casa sull’albero è chiusa, i ragazzi a casa. Le tasse pagate, la macina del caffè lì a prendere umidità.
Non importa.

Sono le cinque di sera.
Nessuna sveglia.
Pulisco la casa sull’albero perché i ragazzi la trovino più bella di come la ricordassero.
Esco di fretta con quel senso di colpevolezza immotivata che continuo a portarmi dentro da tempo. “Passo di qui?”, mi dico. “No, voglio vedere cosa accade alle altre case sull’albero”.
E svolto a destra.
E’ quasi una pugnalata.
Le persone sono così tante da sembrarmi un muro.
Molte di loro, bicchiere di plastica alla mano, sono ferme di fronte ad altre case sull’albero.
Ridono, parlano, si toccano.
Poco più avanti due sceriffi di questo strano West. Due, soltanto.
Intirizziti dal freddo pungente di questi giorni. Inermi. Attoniti quasi quanto me. Fermi. Immobili.
Chiudo gli occhi e sento solo voci. Batto le mani tra loro, come sul finale di un Colossal.
Peccato avere i guanti, vorrei fare più rumore.
Prendo la prima traversa a sinistra: non voglio guardare il finale di questo film.
Torno a casa.

Sono le cinque del mattino.
La sveglia non suona più.
La casa sull’albero ha il giardino rosso. Nessuno entra, nessuno esce.
Dovrò dire ai miei ragazzi che il nostro, forse, era davvero un fumetto.

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