“Femminismo o femminismi?” Genealogia di una storia rimossa

Lo chiamiamo ‘femminismo’ il lungo, difficile cammino di lotta che le donne nei secoli hanno dovuto intraprendere per rivendicare i loro diritti di uguaglianza e differenza rispetto agli uomini, un percorso ancora lontano dall’essere pienamente compiuto.

Ma se parlare di ‘femminismi’ può suonare poco familiare nel linguaggio e nel pensiero comuni, certamente è più esatto: “le rivoluzioni femministe sono infatti plurali nel tempo come nelle istanze che determinano il loro sviluppo, per cui ogni piccola o grande conquista porta un sensibile cambiamento non solo nei rapporti tra il maschile e il femminile, ma anche nel paesaggio antropologico e sociale di un’intera comunità umana”. Lo sa bene e lo afferma con forza la professoressa Romana Recchia Luciani, docente di Filosofie contemporanee e saperi di genere all’università di Bari Aldo Moro, ospite del secondo appuntamento on line della rassegna ‘Diritti e doveri in tempo di pandemia’, tenutosi il 5 febbraio grazie al Caffè letterario del liceo Gioia di Piacenza.

È a partire dal suo nuovo libro “Saperi di genere. Dalla rivoluzione femminista all’emergere di nuove soggettività” che Luciani, in dialogo con il docente Marco Senaldi, ha tentato di far luce su “una storia rimossa – così lei stessa l’ha definita-, ricostruendo genealogie, riprendendo i fili interrotti” di una questione , quella femminile e di genere, ben più complessa di quanto comunemente si creda, di certo non esauribile nella grande rivoluzione femminista degli anni Sessanta – Settanta. Non è allora un caso se l’incontro si è intitolato “Le rivoluzioni femministe e i diritti di genere” a evidenziare la natura composita del fenomeno, “una realtà fluida spesso condannata alla parcellizzazione se non alla cancellazione, a causa di paradigmi culturali dominanti di natura maschile” – sottolinea Luciani.

Dall’esigenza conoscitiva e attiva di fare memoria su quel che sappiamo, ma anche su ciò che resta irrisolto, nasce quindi lo sforzo della docente universitaria, che del femminile, sessualità e diversità ha fatto una professione e una passione. La sua è una panoramica esaustiva dell’intreccio tra lotta femminile e tematiche di genere, in un’analisi che diversifica nel tempo urgenze e punti di vista. “Le rivoluzioni femministe si articolano a ondate, alternando richieste di pari opportunità e uguaglianza a rivendicazioni di differenze rispetto alla condizione e all’universo maschile – ha spiegato infatti Romana Recchia Luciani -, da qui la necessità, sia etica che epistemologica, di considerare il femminismo un movimento plurale”. “Antesignane della prima ondata che porterà al diritto di voto per le donne e al suffragio universale sono due figure quasi del tutto rimosse dalla Storia, figlie della Rivoluzione francese – continua la professoressa -: la scrittrice e filosofa britannica Mary Wollstonecraft e la drammaturga francese Olympe de Gouges. Quest’ultima in particolare si batte per il diritto di tribuna alle donne, per il diritto di partecipare alla vita pubblica, di prendere parte alla piazza e per questo viene presto ghigliottinata”.

Ma ormai il motore della rivoluzione è acceso e nell’800 lascia posto al dibattito fra femminismo liberale di stampo più prettamente borghese e femminismo socialista, con attenzione a una donna che, moglie e madre, discriminata dal marito tra le mura domestiche, con l’industrializzazione inizia anche a lavorare in fabbrica. Fino al movimento suffragista: nei casi più fortunati di Inghilterra e Nord Europa il diritto di voto universale sarà una conquista di fine secolo, ma in altri Paesi, tra cui l’Italia, solo molto più tarda. “Un salto di civiltà che riguarda anche gli uomini – ha sottolineato Luciani -: in passato il diritto di voto era prerogativa concessa in base al censo. A testimonianza che i movimenti femminili nascono cercando alleanze di azione con il mondo maschile. Le divaricazioni di principio fanno parte della storia della lotta, ma si tratta di casi isolati”.

Dal desiderio di uguaglianza alla consapevolezza della differenza femminile, cardine della seconda, lunga ondata rivoluzionaria, il passo non sarà troppo lungo: del 1929 il testo della scrittrice inglese Virginia Woolf che possiamo considerare fondativo della nuova sensibilità, “Una stanza tutta per sé”. “È qui infatti che l’autrice mette a nudo la profonda diversità tra condizione femminile e maschile, per cui una donna necessita di un luogo appartato e di un minimo di indipendenza economica per non essere totalmente sottomessa all’uomo – ha spiegato la docente di Filosofie contemporanee -. Donna nata in un un corpo destinato alla riproduzione o ad essere oggetto di piacere maschile, con ben poche altre alternative. Problema che sopravvive anche oggi, nonostante innegabili progressi in termini di collaborazione maschile nella cura dei figli in molte parti del mondo: basti pensare l’evidente difficoltà in molti settori a mantenere l’attività lavorativa in caso di gravidanza”.

Da Woolf a “Il secondo sesso” di Simone de Beauvoir – straordinaria scrittrice e filosofa francese condannata a una sorta di damnatio memoriae a tutto vantaggio del filosofo e compagno di vita Paul Sartre – fino agli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Un profluvio di rinnovamento dall’Europa all’America. “In quel periodo in Italia le donne del movimento ‘Rivolta femminile’ dell’artista Carla Lonzi scendono in piazza insieme agli studenti, i due grandi esclusi da una reale rappresentanza politica – ha ricordato l’esperta -. Sessualità e centralità del corpo femminili diventano finalmente questioni centrali del dibattito pubblico, fino ad allora relegate ai margini dalla stessa psicanalisi per il dominio esclusivo di modelli maschili”.

Alle tematiche sessuali si legano poi facilmente quelle di genere, tra orientamento sessuale e identità fluida di chi non si riconosce del tutto o parzialmente nel proprio corpo. “Una panorama questo che dagli anni ’80 fino ad oggi si pone in continua evoluzione, eppure viene approcciato ancora con molta difficoltà e diffidenza sul piano sociale e istituzionale” sottolinea la professoressa. Un ultimo sguardo sulla realtà attuale: alla fotografia di un Paese civile che in un solo mese ha perso 99000 lavoratrici contro 2000 lavoratori, alla carneficina quotidiana di donne uccise da uomini, all’eco femminismo emergente nel tentativo di tutelare il sempre più fragile equilibrio del Pianeta.

Per Romana Recchia Luciani alla base di tutti questi problemi stanno errati paradigmi culturali introiettati per secoli, più che inadeguatezza e frustrazione psicologica. Modelli dominanti tramandati agli uomini spesso dalle donne stesse. “Solo un’educazione diversa praticata fin dalla prima infanzia, che sostituisca alla logica del possesso quella dell’alleanza compartecipativa tra umani e viventi potrà essere la chiave di volta per un decisivo cambio prospettico e comportamentale”.

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