“Abbiamo capito quanto sia importante esserci e fare la differenza. Eppure, cosa ci resterà?”

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Giovani e pandemia: la riflessione di Vittoria Prazzoli, studentessa del liceo Volta di Castelsangiovanni (Piacenza)

Mi chiedo di continuo chi siamo e chi stiamo diventando noi giovani, sempre più etichettati da quelle telecamere spente che coprono i nostri sorrisi, e, allo stesso tempo, le nostre espressioni cariche di disperazione. Siamo sagome che non hanno più una sembianza propria, voci represse tra le quattro mura di casa e bruchi che non riescono a trasformarsi in farfalle. Stiamo assumendo le sembianze di maschere dimenticate, burattini abbandonati e riflessi di tutti i piccoli gesti di cui siamo stati privati.

La didattica a distanza si è insediata nelle nostre vite, come un nemico imbattibile, ormai da più di un anno, e non ci ha neanche permesso di rifugiarci in trincea: non ci ha neppure concesso di iniziare la battaglia, perché la nostra guerra era già persa. Persino i nostri docenti non hanno potuto cambiare la situazione: hanno cercato in tutti i modi di iniettare nelle nostre vene un’ampia dose di fiducia, nel tentativo disperato di non perderla anche loro. Abbiamo rinunciato alla libertà, alla nostra monotonia e alla socialità, perché – a dispetto di quello che spesso si pensa – i social aiutano a mantenere un contatto con i propri cari, ma non sono la soluzione al nostro isolamento.

Abbiamo abbandonato l’ancora di salvataggio della nostra nave e ci siamo dispersi in mare aperto, con l’indistruttibile speranza – che ancora batte forte nel nostro cuore – che, prima o poi, avremmo potuto tornare nuovamente al porto, alla nostra quotidianità. Abbiamo trovato calore, in mezzo al gelo del mondo, all’interno del nostro “nido familiare”, che talvolta vacilla tra insicurezze e paura di non farcela. Ci siamo lasciati abbracciare da quei girotondi emozionali che, nella maggior parte dei casi, ci impediscono di affrontare la realtà con forza e determinazione, tra gli occhi lucidi di chi, dopo anni lavorativi, ha dovuto chiudere la propria attività – distrutta dalle fauci del virus, che non risparmia nulla e nessuno – e le sofferenze di chi non è stato in grado d’iniziare a veder fiorire la propria occupazione.

Abbiamo sentito la lontananza dei nonni, di quelle figure di riferimento che sono insostituibili nella nostra vita, come dei nostri eroi. Abbiamo imparato a sostenerci, anche soltanto grazie ad una videochiamata o ad un semplice ed insignificante messaggio. Abbiamo capito quanto sia importante esserci e fare la differenza, e non soltanto essere presenti. Abbiamo compreso che la campanella che suona a scuola, scandendo gli intervalli tra una lezione e l’altra, è essenziale per farci sentire di nuovo insieme, tutti uniti, perché, ormai, trovarsi tra i banchi ed ascoltare i docenti, che spiegano alla cattedra, in presenza, non è scontato, bensì un sommo privilegio.

Abbiamo incominciato a guardare oltre le mascherine, con l’anima, per immaginare le difficoltà di chi ci sta intorno, nascoste da quel velo che spesso soffoca le nostre espressioni. Siamo diventati dei giocolieri in bilico, tra gioie e lacrime, tensioni e timore di non essere all’altezza delle varie situazioni, studio intensivo e desiderio di portare avanti le nostre passioni; tuttavia, una domanda trilla all’interno del mio cuore: che cosa ci resterà, a noi giovani, di questo periodo, quando saremo adulti e la nostra vita sarà ormai designata e scandita dal destino? Personalmente, la freddezza del computer mi devasta: essendo una persona tanto emotiva, come posso pensare di riuscire a stare accanto e ad aiutare qualcuno soltanto attraverso un gelido schermo, diventato un inseparabile amico? “Resistere” è un verbo che ho sempre amato, tuttavia, credo che stia lentamente scomparendo dal vocabolario della mia anima.

Cosa rimarrà? Forse, la risposta è più vicina di quello che si possa pensare: la consapevolezza che, magari, il nostro sacrificio possa aiutare l’intera umanità a rialzarsi e a superare questo brutto momento; la certezza di aver cercato di tutelare i più deboli, fino all’arrivo dei primi vaccini in cui, oggi, stiamo riponendo tutte le nostre speranze ed un terribile stato di dolore. Eppure, lo ripeto ancora: oltre a ciò, cosa ci resterà?

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