“Un anno fa le persone erano sole e spaventate. Rimaniamo uniti contro il virus”

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Marzo 2020. I contagi in crescita vertiginosa. Fuori dall’ospedale la lunga fila di ambulanze in attesa di entrare in ospedale. Le terapie intensive ormai al collasso. Poi una scelta forte, decisiva per alleviare la pressione su un sistema sanitario ormai allo stremo: curare a casa le persone che presentavano i primi sintomi del virus, cercando di impedire il ricovero.

E’ passato un anno dalla nascita delle Usca, Unità speciali di continuità assistenziale, team di professionisti sanitari che vanno a domicilio dei pazienti malati di covid. Un metodo di cura, diffuso a livello nazionale e approvato ufficialmente con decreto ministeriale datato 9 marzo 2020, che ha visto le prime squadre entrare in azione il 23 marzo. Un’intuizione che nasce però alcuni giorni prima a Piacenza, una delle città più colpite dalla prima ondata del virus. “Era passata circa una settimana dalla scoperta del cosiddetto ‘paziente uno’ di Codogno – racconta il dottor Luigi Cavanna, primario di Oncoematologia dell’ospedale di Piacenza, tra i “padri” del modello Usca, tanto da aver richiamato l’attenzione, proprio per questo motivo, della prestigiosa rivista Time.

“L’intera macchina sanitaria locale era stata riconvertita per fronteggiare l’emergenza, ci trovavamo in uno scenario che definirei apocalittico – continua -. In quei giorni eravamo soliti fare il punto tutte le mattine con i vertici dell’azienda sanitaria per valutare le azioni da mettere in campo. Per impedire di intasare ulteriormente l’ospedale, ci siamo chiesti cosa potessimo fare: tutti i malati covid, infatti, avevano una storia di alcuni giorni di sintomi a casa prima che, in alcuni casi, le condizioni peggiorassero obbligando al ricovero. Con il mio caposala, il dottor Gabriele Cremona, abbiamo così deciso di uscire sul territorio per curare a domicilio i pazienti: in dotazione avevamo un piccolo ecografo portatile, tamponi, saturimetro e kit di farmaci da lasciare al malato”. 

Il ricordo di quei giorni è rimasto indelebile nella memoria del medico. “E’ stata un’esperienza che mi ha segnato profondamente, anche a livello personale – confida -. Venivamo accolti da persone sole, spesso anziane, molto spaventate. Penso a quella volta che raggiungemmo una signora a Bettola, nella zona del passo del Cerro. Era distesa a letto, non stava affatto bene. L’abbiamo curata e guarita. Segno che il nostro giocare d’anticipo funzionava, era qualcosa che ti spingeva ad andare avanti e a non fermarti”.

Nonostante un bollettino nazionale che ogni giorno fa registrare centinaia di morti e malati, oggi la situazione, almeno a Piacenza, rispetto a un anno fa è migliorata. Gli interventi a casa, comunque, non si fermano: la scorsa settimana – informa l’Ausl di Piacenza – sono stati circa 700. “Abbiamo una conoscenza migliore su come gestire i pazienti – afferma Cavanna -, non c’è paragone rispetto alla primavera scorsa, quando il quadro era decisamente più critico. Nella cura al covid, in generale l’utilizzo di farmaci è minore perché molti sono stati ritenuti inefficaci, anche se altri se ne stanno sperimentando, come gli anticorpi monoclonali. Gli ospedali hanno più posti disponibili, e questo è un bene, e poi un grande aiuto arriva dai vaccini”.

L’anno delle Usca è stato celebrato anche da Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia Romagna, con un post su facebook. “Continua senza sosta il lavoro delle nostre Usca – scrive -, le unità speciali che assistono i malati Covid direttamente a casa. In totale, sono 572 i medici delle unità attive in Emilia-Romagna e finora hanno effettuato più di 260mila prestazioni a domicilio. Un’attività estesa nel territorio, indispensabile nella lotta al virus per non intasare ancora di più gli ospedali, oggi che in Emilia-Romagna il 94% dei contagiati è in isolamento a casa”.

L’oncologo piacentino Cavanna è anche testimonial della candidatura del Corpo sanitario italiano al Nobel per la Pace, come riconoscimento per l’impegno durante la pandemia. E’ notizia di pochi giorni fa che il Comitato di Oslo, che sovrintende all’onorificenza, ha accolto la proposta. “Si tratta di un’iniziativa da esaltare e da promuovere – sottolinea -. Qualcosa che auspico possa essere un collante che unisca medici e personale sanitario, spesso protagonisti di dibattiti divisivi e contrastanti in televisione. Credo sia inutile perdere tempo in contrapposizioni sterili, quando l’unico obiettivo deve essere quello di essere uniti per combattere il vero e unico nemico –  il virus – che sta portando povertà, disagio e morte in tutto il mondo”.

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