E’ morto un prete rimasto giovane nel cuore e nella nostra mente IL RICORDO

E’ morto don Giancarlo Conte. E’ morto un prete giovane, sebbene negli ultimi anni la sua figura non fosse più così alta e slanciata e i suoi folti capelli biondi fossero diventati canuti e un pochino radi.

Non importa, qualche segno il tempo lo lascia, ma lui era sempre giovane, perché così è rimasto nel suo cuore e nella mente di chi lo conosce. Pardon, lo ha conosciuto, si fa fatica parlare di lui al passato; ma un giorno ti accorgi di non averlo visto da tempo. “Da quando?” ti domandi, mi pare di averlo visto mica tanto tempo fa, sì, era sull’altare l’altro giorno al funerale del tale. Sì, succede che un giorno non lo vedi e ti pare che sia passato un tempo lunghissimo, ma nella tua memoria è ancora presente quella lunga figura con la veste nera anche se diventata un po’ curva. Era sempre giovane per quello spronare, sé stesso prima che gli altri, a fare come se il tempo sfuggisse l’indomani. Don Conte un prete sociale indissolubilmente legato alla tonaca, a metà tra il pastore e il combattente, tra l’evangelista e l’organizzatore.

Fautore di mille iniziative che facevano muovere noi giornalisti, perfino proteste a favore dei suoi parrocchiani di san Giuseppe, “non abbattete quelle case, loro sono lì da decenni, è come far crollare il loro mondo, stravolgere la loro” tuonava contro l’istituto delle case popolari e del Comune che aveva deliberato l’abbattimento dell’asilo San Giuseppe per realizzarvi un nuovo complesso residenziale tra le vie Martiri della Resistenza e Boselli. Ciò che poi è stato. Non aveva timori ad affrontare i politici e la politica per difendere il suo popolo. Lui e la politica, una infinita relazione nel tempo, la misurava a seconda dell’attenzione verso il Vangelo. Lo aveva raccontato tante volte anche ai lettori di Libertà, chiamato dal direttore Gaetano Rizzuto che ne aveva fatto un opinion leader.

Meticoloso, senza lasciare spazi alla fantasia recitava il suo Vangelo secondo le emarginazioni dalle colonne del quotidiano cittadino, ricordava eventi storici sentenziava critiche non certo di cortesia, seppur con penna fina, come aveva imparato dagli straordinari docenti del Collegio Alberoni da cui era stato forgiato. La sua capacità di critica era notevole, come quella di fare battaglie. Era un giovane prete finita la guerra e doveva gestire un’altra guerra, quella tra la Chiesa, che si era schierata per la DC, contro il PCI, il partito comunista, un’altra “chiesa” le due anime dell’Italia, uno scontro aperto che si esprimeva in mille modi nella società. Non aveva dubbi su quello che doveva essere il suo ruolo di sacerdote a difesa della fede e della cattolicità, si sentiva accomunato ad un pretino più avanti negli anni di lui, il cui agire lo rinfrancava, don Ersilio Tonini, poi diventato vescovo e cardinale. Forse un suo mentore.

Don Giancarlo intanto continuava la sua missione di presbitero passando dalla parrocchia di Pianello, in Valtidone, alla Santissima Trinità di Piacenza, un incarico fra una popolazione giovane guidata da mons. Antonio Tagliaferri. Infine, nel 1971 fondatore, per iniziativa dell’allora vescovo Enrico Manfredini, della parrocchia di San Giuseppe Operaio, è il sogno di ogni prete quello di dar vita ad una nuova comunità pastorale. E lui era pronto con tutto il suo entusiasmo di ragazzo, anche se ormai non lo era più, era pronto con tutta la formazione ricevuta, prima dai docenti dell’Alberoni, poi dai suoi maestri in tonaca. In quella parrocchia si fa conoscere, si fa sentire, si fa benvolere, nonostante qualche attrito con una parte di essa per via di un campo da calcio non voluto. In quella parrocchia sotto la sua guida nascono tante realtà, si organizzano iniziative, si formano gruppi parrocchiali e don Conte diventa monsignore, soprattutto si ritaglia tempi per la scrittura, per i diari, per raccontare la sua storia, quella del suo tempo di ragazzo, di costruttore di anime, dà vita al giornalino parrocchiale Camminiamo insieme, si dedica al giornalismo, sua lontana passione, collabora con il settimanale diocesano Il Nuovo Giornale, dialoga con Libertà, tanto che il direttore Rizzuto decide di farne un ospite chiedendogli spesso interventi di spessore.

I suoi libri crescono, in numero e nell’interesse della cittadinanza fino a quell’opera che ha covato dentro per anni: Chiesa italiana tra comunismo e secolarizzazione. Piccola storia degli anni 1945 – 2015 (Nuova editrice Berti, 2017), nel quale traccia un parallelismo tra due epoche e una meticolosa disamina, di un conflitto tutto italiano, quello tra la Chiesa di Roma e un partito che ebbe grande presa sugli elettori ma avverso ai principi del Vangelo. Il secondo è ancora in essere. Il che dimostra come, fino all’ultimo, quella mente abbia continuato a ragionare in forma giovanile e parimenti a battersi per l’affermazione del disegno di Dio.

Maria Vittoria Gazzola

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