La pandemia della memoria corta

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Si può fare un parallelo tra quello che è successo in Sardegna nelle ultime quattro settimane e quello che “non è successo” a Piacenza?

Di certo il primo esperimento è fallito. Lo dicono gli esperti e lo dicono i numeri: nell’arco di un mese l’isola è passata dalla “zona bianca” ad un mesto ritorno al massimo delle restrizioni. Dall’allentamento delle maglie della libertà di movimento con una riapertura massiccia degli esercizi (consentita dalle regole nazionali, sia chiaro), la Sardegna si è guadagnata la retrocessione in zona rossa per l’ineluttabile incremento dell’indice di contagio.

A Piacenza, che si appresta ad abbandonare la zona rossa per approdare all’arancione come l’intera Emilia Romagna, nel mese di marzo la situazione sanitaria e la diffusione del virus sono state nettamente migliori che nel resto della regione e anche dell’intero Paese. Contagi che si sono stabilizzati verso il basso e mantenuti costantemente sotto controllo. La zona rossa ci ha protetto dal punto di vista sanitario. Allora siamo obbligati a tornare all’interrogativo iniziale: se avessimo aperto prima, se avessimo derogato alle norme nazionali che impongono una condotta uniforme per regioni e non alle singole province, saremmo riusciti a limitare così efficacemente i contagi, le terapie intensive in affanno, le vittime (che purtroppo ci sono comunque)? Ne sarebbe valsa la pena?

Il direttore sanitario dell’Ausl Guido Pedrazzini nel corso dell’ultimo report della situazione nella nostra provincia ha spiegato un concetto importante, che si può sintetizzare con una specie di tautologia: riusciamo a mantenere bassi i contagi proprio perché ci troviamo in una situazione di bassi contagi. Significa che le persone che si ammalano si possono curare con la massima attenzione, si può praticare con sistematicità quel “contact tracing” che è fondamentale per risalire alle fonti di diffusione del virus, per tracciarle e neutralizzarle prontamente. Significa anche che si possono spendere maggiori energie per compiere lo sforzo più importante di questa fase per la macchina sanitaria: vaccinare, vaccinare e ancora vaccinare.

Ci siamo evitati l’ennesima “fisarmonica” delle riaperture e delle chiusure che è l’andamento tipico di questa epidemia da 13 mesi a questa parte: il virus si nasconde per un po’ ma poi l’ha sempre vinta lui, e noi costretti a inseguire. La memoria è corta, senza prospettiva e senza capacità di analizzare e di imparare dal passato, anche quello più recente. Perché quel conta sono soltanto le emozioni del momento, l’ansia del consenso immediato, di accondiscendere agli umori dell’ultimo minuto, senza alcun ragionamento un po’ più lungo. Questa è un’altra malattia da debellare, e non basterà il vaccino.

Mauro Ferri

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