Quella mattina sotto al diluvio e il “mio 25 aprile” IL RICORDO

Dunque quella mattina non compresi bene che valore avesse la richiesta del nostro Preside. Per giunta alle scuole medie in Storia eravamo arrivati alla 1^ guerra mondiale e così sarebbe stato purtroppo anche al Liceo. Molti nostri insegnanti di Storia erano restii a spiegarci sia il primo dopoguerra, che le cause della seconda, perché dicevano che gli avvenimenti erano troppo recenti e si rischiava di non essere obiettivi. Rimasi pertanto nella mia beata ignoranza studiando con diligenza la storia come si fa con le tabelline, con diligenza senza dubbio, perché mi piaceva studiare e tenevo ad essere un’alunna encomiabile per la soddisfazione dei miei genitori e dei miei insegnanti. Così, proprio per apparire una alunna diligente, nonostante la mia ineffabile timidezza, alzai la mano e mi offrii di sacrificare il mio giorno di vacanza per portare il gagliardetto della scuola in piazza.

Il preside, detto fatto, pescò dal gruppo di classe un compagno, che avrebbe dovuto fare coppia con me, indicandolo con la punta del bastone su cui si trascinava, e il malcapitato, che era anche più timido di me, non osò battere ciglio. Il 25 mattina avremmo dovuto passare a scuola a prendere il gagliardetto, poi recarci in Piazza Cavalli, dove ci avrebbero assegnato una postazione.
Ricordo di quella mattina il tempo terribile: acqua e vento ci costrinsero a rifugiarci sotto i portici per tutto il tempo che sulla piazza, in mezzo all’insolita tormenta di primavera inoltrata, la banda suonava alcuni brani patriottici. Non ricordo nulla degli oratori che tentavano di avvicendarsi sotto il diluvio. Ricordo invece il freddo che mi attraversava il soprabitino primaverile a pied de poule e l’imbarazzo per la vicinanza silenziosa di un compagno con cui non avevo nessuna confidenza. Solo l’università, il ’68, le numerose letture degli scrittori allora miei contemporanei, come Calvino, e il Neorealismo del cinema mi introdussero alla conoscenza del mio passato più prossimo. A posteriori capivo il contesto in cui erano vissuti i miei, capivo il senso della nostra Costituzione, l’entusiasmo e la vita che tornava a scorrere, la mia venuta al mondo.

Ho in memoria un altro 25 Aprile, più recente, ma molto intimo. Dopo una faticosa gravidanza, la mia terza, per cui avevo passato a letto gli ultimi quattro mesi con una pericolosa gestosi, finalmente nel tardo pomeriggio, nasceva mia figlia. Abbiamo tutti esclamato con una battuta quasi ovvia: “finalmente, la liberazione!” Ho ripensato molte volte al fatto, come a una metafora. Da quella liberazione era nata una donna, una donna libera.

Loredana Mosti

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