Le Rubriche di PiacenzaSera - Inter Cultura

“Una società plurale è più capace di produrre gli anticorpi contro il fondamentalismo”

Noi e L’Islam, di Gian Carlo Sacchi

Noi e l’Islam, un memorabile intervento del card. Martini del 1990, con il quale apriva nella diocesi di Milano il dialogo tra cattolici e musulmani, facendo emergere fin da allora i timori dei cattolici di essere “invasi” e dei musulmani di essere “assimilati”. Uno sforzo serio di conoscenza approda ad un rapporto di uguaglianza, ma le questioni politiche hanno sempre inquinato tale confronto andando oltre l’aspetto dottrinale.

Con l’immigrazione approda nel nostro Paese un grande numero di persone di fede musulmana, ormai diventato strutturale per fronteggiare la crisi demografica e soddisfare determinate esigenze del mercato del lavoro. Nel 2020 in piena pandemia si è registrato un minimo storico delle nascite e un massimo di decessi dopo la seconda guerra mondiale. Questo è avvenuto in tutta la sua drammaticità anche a Piacenza dove la presenza di stranieri era già nel recente passato di gran lunga superiore alla media nazionale. Si restringe infatti la popolazione italiana residente (- 0,3%) ed aumenta quella immigrata (+ 15,1%). Nel 2019 su 287.791 residenti 43.422 provenivano dall’estero. I figli minorenni di dei nuovi cittadini sono il 22,3%, di cui il 92,5% frequenta le nostre scuole, perlopiù ancora nel primo ciclo e che ben presto avranno bisogno di altri luoghi di aggregazione e di formazione anche di tipo informale.

Il modo di gestire un contesto sociale sempre più plurale che per le suddette esigenze è destinato a consolidarsi ha in Europa diverse modalità: dal multiculturalismo che spinge gli immigrati a creare comunità separate, a quella assimilazionista che ha creato situazioni di disagio e di ribellione soprattutto nelle periferie delle grandi città. Sebbene senza grande entusiasmo in Italia si è preferita la prospettiva “interculturale”, dove cioè ogni comunità mantiene le sue “ragioni ultime”, ma accetta di condividere le “ragioni penultime” della convivenza secondo la logica democratica vigente nel paese ospitante. E questo vale per l’esercizio dei diritti soggettivi e per l’espressione religiosa personale e comunitaria, in un clima di mutuo rispetto. Il pluralismo religioso dunque non solo è garantito dalla Costituzione, ma si riflette anche nella presenza di luoghi di culto adeguati, secondo le regole stabilite dalle autorità nazionali e territoriali.

Il nostro Vescovo parla di accoglienza per coloro che praticano religioni diverse, come dimostra l’intensa attività ecumenica nella comunità piacentina e la diffusione in questi ultimi tempi di chiese ortodosse delle diverse nazionalità. Non si tratta dunque solo di lavoro, ma anche di socialità, nonché per l’esperienza religiosa di cui gli immigrati sono portatori. Il pluralismo religioso infatti rafforza l’organizzazione sociale; il dialogo interreligioso riporta il discorso ai valori esorcizzando il materialismo e l’egoismo oggi forse già troppo presenti; la dimensione spirituale viene recuperata nella vita quotidiana per contrapporsi alla visione di homo oeconomicus che trae il proprio riconoscimento da quanto produce e consuma. Stiamo passando dalla religione degli italiani all’Italia delle religioni.

L’intercultura innesca un processo di estensione della democrazia attraverso la partecipazione, basata sul riconoscimento delle differenze per gestire le trasformazioni garantendo la coesione sociale. Le presenze alloctone infatti sono capaci di una produzione non solo materiale dalle quali le popolazioni autoctone non possono più prescindere. Persone che si identificano sia con il proprio gruppo etnico di origine sia con il paese di residenza sono caratterizzate da un minor pregiudizio interetnico e saranno più facili forme di riconoscimento e di ascensione sociale. La domanda di riconoscimento della differenza deve avvenire nel segno del pluralismo; il contesto politico-culturale e la sua specifica storia influenza la negoziazione della differenza stessa, che rende presente ai contraenti una realtà aperta all’esito democratico; anche l’Islam dunque in Europa deve riconoscere la costruzione di una comunità valoriale fondata sul consenso e sul pluralismo sancito dalla Costituzione, nel quale ogni cultura può esprimere i propri valori e identità. Diventa decisiva la costruzione di una società articolata e plurale capace di produrre al proprio interno gli anticorpi contro il fondamentalismo e l’autoritarismo di gruppi particolaristici.

Mettere al centro il rispetto dei diritti umani favorisce lo sviluppo di scambi culturali non solo con gli stati , ma anche con associazioni, gruppi, corpi intermedi che condividono le aspirazioni democratiche: il rischio è che altrimenti si affermino democrazie senza democratici. La pedagogia interculturale dovrebbe essere considerata imprescindibile anche in assenza di alunni stranieri, dovrebbe essere parte di un’educazione civica e alla democrazia, al pluralismo culturale, ai diritti umani, all’antirazzismo; si dovrebbe partire dalla consapevolezza che sempre e dovunque la dinamica culturale procede per interazione, per scambio, ibridazione fra le culture.

Di fronte a questa pluralità compito dello Stato è salvaguardare l’unità e la convivenza e quindi tutelare i cittadini anche rispetto al riconoscimento della cittadinanza, soprattutto per coloro che sono nati in Italia ed hanno completato un ciclo di studi; le confessioni religiose e le visioni del mondo che si esprimono all’interno della società civile, anche mediante la costruzione di una moschea. La propria identità culturale si approfondisce e si arricchisce nel dialogo con realtà differenti, dice Papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti; il modo autentico di conservarla non è un isolamento che impoverisce.

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