Il rapporto cave di Legambiente: a Piacenza piano sovradimensionato e ampliamento Albarola

La normativa di riferimento – Il settore, così delicato per gli impatti e gli interessi, è governato a livello nazionale da un Regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 1927. “Da allora non vi è più stato un intervento normativo che determinasse criteri unici per tutto il Paese, mancano persino un monitoraggio nazionale della situazione o indirizzi comuni per la gestione e il recupero. Con il DPR 616/1977 le funzioni amministrative relative alle attività di cava sono state trasferite alle Regioni, e gradualmente sono state approvate normative regionali a regolare il settore. Purtroppo, ancora in molte Regioni si verificano situazioni di grave arretratezza e i limiti all’attività estrattiva sono fissati in maniera non uniforme. Sono assenti piani specifici di programmazione in Abruzzo (dove il P.R.A.E. è stato adottato ma mai approvato), Molise, Sardegna, Calabria, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia (dove il Piano è stato approvato preliminarmente), tutte Regioni che non hanno un Piano Cave vigente, a cui si deve aggiungere la Provincia Autonoma di Bolzano. L’assenza dei piani è particolarmente preoccupante perché si lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede l’autorizzazione. Sull’impatto ambientale delle cave è intervenuta l’Ue a imporci regole più attente; con la Direttiva europea 85/337 si è stabilito che l’apertura di nuove cave deve essere condizionata alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale. Ma in Italia l’obbligo vale solo per cave con superficie maggiore di 20 ettari, per cui la norma è il più delle volte aggirata”.

I canoni – Le entrate percepite dagli enti pubblici con l’applicazione dei canoni sono estremamente basse in confronto ai guadagni del settore: “Il totale nazionale di tutte le concessioni pagate nelle Regioni, per sabbia e ghiaia, è di 17,4 milioni di euro, a cui bisognerebbe sommare le entrate della Sicilia che variano in funzione della quantità cavata, oltre a una piccola quota derivata dall’ampiezza dei siti estrattivi, come avviene in Puglia. Cifre bassissime rispetto ai 467 milioni di euro all’anno ricavati dalla vendita. In Valle d’Aosta, Basilicata e Sardegna non sono previsti canoni concessori. In Lazio, Umbria, Puglia e della Provincia Autonoma di Trento non si arriva al 2% di canone rispetto al prezzo di vendita di sabbia e ghiaia. Se venisse applicato un canone, come avviene in Gran Bretagna, pari al 20% dei prezzi di vendita, gli introiti delle Regioni per l’estrazione di sabbia e ghiaia salirebbero a 93,5 milioni circa. Ad esempio, in Sardegna potrebbero entrare nelle casse regionali oltre 2,8 milioni di euro ed in Basilicata 486mila euro ogni anno. In totale, si possono stimare in almeno 333 milioni di euro le mancate entrate per canoni inadeguati, ogni anno tra inerti e materiali di pregio, dove i guadagni sono assai rilevanti grazie alle esportazioni. Se un canone di questo tipo si fosse introdotto negli ultimi dieci anni si sarebbe potuti generare quasi 4 miliardi di euro di entrate per le casse pubbliche”.

Le buone pratiche dell’economia circolare in edilizia – Tante le buone pratiche raccontate nel Rapporto. Ad esempio, nei cantieri di demolizione realizzati dall’azienda dell’edilizia pubblica di Ferrara e nell’abbattimento dell’ospedale di Prato si è riusciti a recuperare il 99% di materiali dalle demolizioni selettive di edifici, da riutilizzare creando nuove imprese nei territori. Possiamo trasformare rifiuti provenienti dalla siderurgia e dall’agricoltura in materiali da usare nei sottofondi stradali e nella creazione di mattoni. Si possono creare intere filiere di materiali ad impatto zero, come avviene in Sardegna, o rifare centinaia di km di superfici stradali, piste ciclabili, aeree aeroportuali, con materiali riciclati al 100%. Ora è il momento di dare sbocco a questi materiali rendendo possibile la loro applicazione per riqualificare il patrimonio edilizio e infrastrutturale, i territori. Per rendere possibile questo scatto in avanti abbiamo bisogno però di politiche ambiziose e coerenti.

Gli obiettivi secondo Legambiente – Per Legambiente la sfida dei prossimi anni è “la rigenerazione delle città, la riqualificazione energetica e anti sismica del patrimonio edilizio; in questa prospettiva si può rilanciare il settore delle costruzioni puntando su qualità, sostenibilità, recupero e riciclo dei materiali”. Per Legambiente sono tre gli obiettivi principali da raggiungere.

1 Rafforzare la tutela del territorio, perché il quadro delle regole di tutela del territorio dalle attività estrattive è inadeguato e ancora troppi Piani contengono previsioni enormi di nuovi prelievi, invece di regolarne una corretta gestione, tutelando le aree di pregio e fissando regole per garantire sempre il recupero progressivo dei luoghi.

2 Stabilire un canone minimo nazionale per le concessioni di cava, come nel Regno Unito pari al 20% del valore di mercato, perché la strada dell’economia circolare passa per una revisione della fiscalità e in tutti i Paesi europei l’aumento dei canoni per le attività estrattive e per il conferimento a discarica degli inerti è stato il volano per la riorganizzazione e modernizzazione del settore verso il riciclo.

3 Ridurre il prelievo da cava attraverso il recupero degli inerti provenienti dall’edilizia e dal riciclo di rifiuti da utilizzare in tutti i cantieri, perché è vantaggioso per il paese e le imprese; per questo serve ridurre il conferimento a discarica, rendere economicamente vantaggioso l’utilizzo di materiali provenienti da recupero e riciclo a fronte di quelli provenienti da cava, facilitare il recupero, riciclo e riutilizzo in edilizia di rifiuti provenienti da tutti i settori e garantire sbocchi di mercato a questi materiali.

In particolare, “occorre accelerare l’approvazione dei decreti End of waste per garantire il passaggio da rifiuti a materiali per le costruzioni, sono tanti quelli in attesa con diversi settori, e approvare Criteri ambientali minimi (Cam) per le infrastrutture e per l’edilizia, in modo da dare riferimenti chiari ai cantieri pubblici e privati. Occorre accelerare la crescita di una moderna filiera in cui siano le stesse imprese edili a gestire il processo di demolizione selettiva degli inerti, provenienti dalle costruzioni in modo da riciclarli invece che conferirli in discarica. Per riuscirci occorre rendere trasparente e tracciabile il percorso dei rifiuti e spingere nelle gare sia il recupero dei materiali che l’utilizzo di quantità minime provenienti dal riciclo. Governo e Regioni prendano decisioni chiare per accompagnare e accelerare questa transizione”.

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