“La mafia al Nord è in giacca e cravatta, la si combatte solo con l’unità della politica”

Una testimonianza da brividi, quella portata da un imprenditore vittima di mafia durante la commissione 5 del Comune di Piacenza, apertasi con la conclusione dell’audizione della presidente di Libera, Antonella Liotti.

“Ancora adesso mi tremano le mani ricordando quando mi sono trovato davanti a due fosse, una per me e una per mio fratello: erano pronti a buttarci dentro, ancora vivi, per poi ricoprirci di calce” – ha raccontato. Un’esperienza che ha segnato un punto di non ritorno, con la decisione di rivolgersi alle forze dell’ordine – e dare il via a un’inchiesta che ha portato all’arresto di 100 persone, e di ancora altre 40 a distanza di anni – e di lasciare la propria terra, al Sud, per cercare di ricostruirsi una vita con la propria famiglia al Nord. “Forse nessuno di voi ha mai avuto a che fare con questo mostro, vi auguro che resti lontano: la mafia è il tumore di questa società, quando arriva non si presenta. Entra in silenzio, e come un cancro che si impadronisce di un organo per poi ucciderti, così prima che tu te ne renda conto ti ha già tolto tutto”.

“A me è successo questo: insieme alla mia famiglia gestivamo una piccola attività. Le prime richieste sono state quelle di donare pacchi alimentari per detenuti, poi abbiamo dovuto assumere due persone che non hanno mai lavorato ma hanno percepito regolarmente lo stipendio, fino a dover cambiare assegni che si rivelavano scoperti e ci hanno imposto di dover ricorrere agli usurai, andando così ad aumentare i nostri debiti. Cosa che ci ha messo in difficoltà – racconta – con i nostri fornitori. E allora cosa è successo? Che proprio la mafia ci ha trovato altri fornitori, persone poi finite agli arresti in seguito alla mia denuncia. A 24 anni ero pieno di debiti. Sono scappato dalla mia terra e per anni ho vissuto isolato, per la paura di rivivere quello che avevo passato. Ho vissuto un pezzo della mia vita nella disperazione più totale, potendo contare sull’aiuto e supporto di pochissime persone, e io ringrazio Dio di averle potute incontrare”.

“Mi dicono che sono stato coraggioso, questo è vero ma avrei voluto avere attorno a me più unità” – ha proseguito l’imprenditore, che ha rivolto ai consiglieri l’invito a fare fronte comune e a superare le contrapposizioni che ancora la vicenda Caruso scatena tra i banchi di palazzo Mercanti. “Davanti alla mafia non ci devono essere colori politici – afferma – Secondo me ci devono essere solo tre colori: il verde, il bianco e il rosso della bandiera italiana. La mafia si combatte solo se si sta uniti, questa unità qui non l’ho sentita. Al Sud abbiamo visto tante maschere: la mafia con la maschera degli uomini di chiesa, delle forze dell’ordine. Abbiamo visto anche mafiosi con la maschera dell’antimafia. Ma queste persone le riconosci, perché si comportano diversamente dalla gente perbene. Qui al nord la mafia veste in giacca e cravatta, vince appalti e fa lavorare. La si contrasta rivolgendosi alle forze dell’ordine, e avendo il supporto delle istituzioni che devono essere unite”.

“Unità che – ha voluto evidenziare – in questa aula non ho sentito, perché se a distanza di due anni (dall’arresto dell’ex presidente del consiglio, ndr) ne parlate ancora, vuol dire che non ne avete preso atto”.

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