Il “bosco impossibile” e anni di immobilismo: torniamo a parlare di tutte le aree morte della città

Partiamo dai dati oggettivi e da qualche numero. L’ex Pertite è un’area di proprietà del Ministero della Difesa situata nel comparto ovest del nostro tessuto urbano: 274mila metri quadrati che equivalgono a poco meno alla somma di Montecucco e Galleana. Non è interamente occupata dal verde, perché la porzione di costruito vale 114mila metri quadrati tra edifici (45mila) e altre aree già impermeabilizzate (vedi le foto). Naturalmente, essendo stata adibita a stabilimento di produzione e deposito di esplosivi, a luogo di collaudo di mezzi militari, e anche (sigh) a discarica, necessita di una completa bonifica prima di qualsiasi tipo di rifunzionalizzazione urbana.

La Pertite è una delle cosiddette “aree militari” disseminate all’interno del perimetro cittadino, che da oltre 20 anni sono oggetto di progetti, aspirazioni, piani di dismissione e di riutilizzo all’interno della nostra città. E’ datato 2008 il primo protocollo e anche il primo tentativo di sistematizzare il tema della restituzione di queste superfici – corpi estranei dello scenario urbano, aree “morte” innestate nel tessuto vivo – da parte della Difesa. Insieme alla Pertite furono prese in considerazione allora il Piano caricatore, l’ex laboratorio Pontieri, l’ex Arsenale o Polo di Mantenimento Pesante Nord, il Macra, lo stabilimento Staveco e la caserma Lusignani di S. Antonio. L’accordo ipotizzava uno scambio coi militari, la dismissione di queste aree con la delocalizzazione dell’ex Arsenale. Non se ne fece nulla.

Sono seguiti altri tentativi, incontri, abboccamenti, protocolli siglati con le autorità militari. Il risultato è che ad oggi soltanto i primi due comparti sono stati riutilizzati: il Piano caricatore di piazzale Roma (via Pisoni) è stato concesso in affitto dai militari al Comune che lo ha destinato a stazione delle corriere, mentre l’unica vera e propria dismissione riuscita riguarda l’ex Laboratorio Pontieri, al centro dell’investimento pubblico della Provincia con la realizzazione di due nuove palestre.

In questo quadro assai articolato (consideriamo che sono della partita almeno altri due complessi, l’ex ospedale militare di via Palmerio, oggetto di uno studio di Invimit, e la caserma Niccolai di piazza Cittadella), la Pertite ha assunto un significato a se stante. A partire da quel referendum datato 2011 e del tutto inusuale per la nostra città, che non raggiunse il quorum del 50 per cento. Alla consultazione votò meno di un terzo dei piacentini, nonostante fosse agganciata ad altre elezioni nazionali. La domanda posta fu la seguente: “Volete che l’intera area militare “Pertite” sia trasformata in parco pubblico, allo scopo di raggiungere la quota minima di parchi urbani stabilita dalla legge e che il comune si impegni con tutti gli strumenti a sua disposizione per raggiungere tale risultato?” Vinse il sì, ma ricordo soprattutto il dubbio che mi assillò al momento di prendere la decisione se esprimere o meno il voto: “Perché la quota minima di verde di parchi urbani della mia città dovrebbe essere raggiunta con un’area specifica e non equamente distribuita per consentire a tutti i residenti democraticamente di beneficiarne?”. Non votai.

Pertite Google

La parte costruita della Pertite vista da Google

Nella melassa retorica di difficile digestione in cui rischia di trasformarsi il dibattito sulla ripartenza della nostra città nella stagione post covid, vorrei tanto che fosse accantonata definitivamente la questione dell’area Pertite. Sto mettendo le mani avanti, visto che fra un anno, o giù di lì, saremo alle elezioni comunali e sarebbe assai “ecologico” (dato che di ambiente stiamo parlando) per la qualità del dibattito che tutti, ma proprio tutti, prendessimo atto che su questa vicenda si è consumato un fallimento e occorra ripartire su basi nuove.

Il fallimento del comitato Pertite e del suo dogma “Bosco o morte”. Che non ha portato a nulla. A meno che non si pensi che l’immobilismo e l’aver lasciato intatte la giungla e le schifezze custodite dalla Pertite possano essere considerati una soluzione. A volte mi chiedo perché non sia nato un comitato con le stesse motivazioni e la stessa perseveranza contro la scelta dell’attuale amministrazione comunale di insediare il nuovo ospedale su un terreno agricolo facendo sparire in un batter di ciglia circa 180mila metri quadrati di verde nell’era del “consumo di suolo zero”. Non è questa una battaglia ambientalista degna di essere combattuta?

Il fallimento di gran parte della classe dirigente piacentina di fronte al tema delle aree militari. Perchè è stata persa la partita della dismissione e della trasformazione in valore per tutti noi di centinaia di migliaia di metri quadrati di superficie urbana separati dal resto della città. Anzi, c’è chi ha utilizzato più volte il miraggio del “Bosco o morte” – da sinistra a destra – a fini soltanto opportunistici e tattici. Certo, sbandierare un principio astratto come “il verde è bello” è assai più semplice, appagante anche dal punto di vista elettorale, che mettersi a pensare e a lavorare per ottenere un risultato. E poi i principi in politica – se evocati bene – hanno un bel vantaggio: coprono il vuoto. Vuoto di idee, di capacità amministrative e di relazioni, di progetti e di visione.

Non sarebbe forse il momento di provare a riconnettere le idee sulla trasformazione delle aree militari dentro a un ragionamento complessivo, di sistema urbano, realmente sostenibile (parola abusata), comprensivo delle altre superfici anche non militari da recuperare (e sono tante), più democratico nei confronti di tutta la città? C’è qualcuno, partito, schieramento, comitato, singolo pensatore, che ha il coraggio di farlo? Avanti, siamo qui per dargli tutto lo spazio che merita.

Mauro Ferri

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