Cinque monelli e un mazzo di garofani rosa. Ricordi di scuola

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La scuola è iniziata da poco per tanti studenti e insegnanti, nella speranza di non dover ricorrere più alla didattica a distanza. La storia che segue è un “ricordo” di scuola che racconta il desiderio di colmare una distanza e la piccola impresa che ne è seguita. 

Ricordi di scuola
Insopportabili dolori addominali, acuto e improvviso rialzo della temperatura, una corsa alla clinica fortunatamente vicina a casa, appendicectomia d’urgenza. Erano gli ultimi mesi del mio primo anno d’insegnamento alla scuola media di Castelsangiovanni, oggi polo logistico e industriale di notevole rilevanza nella provincia, allora popolosa cittadina a vocazione agricola. Mi erano state assegnate due classi, una prima e una seconda di ragazzi del posto di diversa estrazione sociale, ben educati, ma vivacissimi, che avevo cercato di domare, senza alcuna esperienza didattica, e ancor meno autorevolezza, ma con il sacro fuoco del neofita e la combattività (o testardaggine?) propria del mio carattere. Mi ero inventata mille giochi per far passare le basilari nozioni di educazione civica (magari anche solo di educazione e di pacifica convivenza), trasformando le classi in Parlamentini con diritto di parola ad alzata di mano o facendo ruotare settimanalmente i posti nei banchi, per costringere tutti almeno una volta a sopportare come compagno di banco uno antipatico. Quest’ultimo espediente con buona pace (ma nemmeno tanto) dei colleghi che ogni settimana si ritrovavano la classe…topograficamente rivoluzionata… Tutto sommato in un breve arco di tempo si era instaurato con i ragazzi un rapporto di complicità e amicizia, nonostante non ammettessi, come era corretto, l’eccessiva confidenza che poteva essere indotta dalla mia giovane età e dal mio aspetto quasi infantile.

Se ce ne fosse stato bisogno, ci pensava la preside a mettere tutti in riga. Era una donna di settant’anni, costretta suo malgrado a restare ancora in servizio, per problemi di graduatorie, dura e arcigna, che mi ricordava tanto la direttrice Gertrude del Giornalino di Gian Burrasca. Quando suonava la campanella di fine lezioni, noi docenti dovevamo accompagnare all’uscita le classi, facendole scendere dai piani, i ragazzi in fila per due e noi davanti a guidare la fila. Lei si metteva in fondo alle scale a controllare e più di una volta mi fece rapporto per la mia gonna sopra il ginocchio, francamente niente a che vedere con la minigonna, allora icona dell’emancipazione femminile, che con qualche anno di ritardo, partendo dalla rivoluzione culturale sessantottina, maturata nelle grandi città, stava arrivando anche in provincia. Mi ero sinceramente affezionata a quei ragazzi, specie a quelli di prima, poco più che bambini, tanto che quando, l’anno successivo, mi sarebbe stata offerta una cattedra al Liceo Scientifico della città, fui tentata di rifiutarla, per portare a termine con loro il ciclo di studi delle Medie. Fu un padre, ad udienza, a cui avevo confessato il mio rammarico, che mi disse.” Non ci pensi proprio! La sua cattedra rimane, i ragazzi passano!”

Profetico. Due anni più tardi mi sarei ritrovata in classe, alle Superiori, proprio due di quei ragazzi, che oggi sono medici affermati, alle soglie della pensione. Ma tornando alla mia disavventura…sanitaria, al tempo una appendicectomia comportava comunque un ricovero di almeno una settimana, con tanto di digiuni postoperatori, di progressive e oculate discese dal letto ecc. ecc., senza contare la convalescenza… Il terzo giorno di ricovero avevo appena tentato i primi passi e bevuto il primo brodino, quando nell’ora delle visite vedo far capolino all’ingresso della camera un timido musetto, poi due; poi in fila indiana entrano cinque ragazzini con un mazzo di garofani rosa. Sono cinque dei miei monelli di prima venuti a verificare il mio stato di salute.

Commoventi certo, non però come le rivelazioni a seguire. I cinque, mai venuti prima in città, avevano chiesto al garzone di un lattoniere di Castello, che per l’appunto doveva venire a Piacenza per commissioni, un passaggio sul suo furgone. Questi li aveva caricati tutti e cinque, scaricati davanti alla clinica, chiedendo per loro informazioni su dove trovarmi, poi aveva fissato l’orario per tornare a riprenderli e li aveva lasciati alla loro avventura. Davanti alla clinica c’era il fiorista, dove i ragazzini avevano comprato i fiori, per omaggiarmi. “Volevamo prenderle delle rose, ma erano troppo care. Così abbiamo scelto i garofani”.
Li avrei baciati tutti, se non fosse stato che ero la loro insegnante. E non riuscivo ancora a scendere dal letto con facilità.

Loredana Mosti

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