“In Africa il covid contagia e uccide. E i vaccini dei paesi ricchi? Solo sulla carta”

Agli irriducibili contro i vaccini e a chi vaneggia della “dittatura sanitaria” può essere utile farsi raccontare la situazione della pandemia in tanta parte dell’Africa. In realtà è utile a tutti, anche a noi che abbiamo aderito senza riserve alla campagna di immunizzazione, perchè la vicenda del covid in paesi lontani, distanti dai nostri modelli di sviluppo, fa comprendere come l’obiettivo di sconfiggere il virus sia quanto meno arduo se non si assume una dimensione globale. E una certa propaganda sulla presunta libertà di non farsi curare dallo Stato si affloscia miseramente di fronte alla realtà di milioni di persone prive dei servizi sanitari di base.

In Africa si muore molto di più e a 50 anni si è già anziani. La morte è parte della vita e quando succede non ci si chiede subito di chi è la colpa. E’ una questione di cultura e di condizioni materiali: in questo contesto il covid circola, contagia e uccide. E ai malati lascia danni fisici molto pesanti”. A parlare è Carlo Ruspantini, direttore di Africa Mission – Cooperazione e Sviluppo, che è appena rientrato dall’Uganda, il paese dove l’onlus piacentina porta avanti i progetti di cooperazione ormai avviati da tanti anni con importanti risultati. In Uganda è ancora un vigore un lockodown molto restrittivo, c’è il coprifuoco dalla sera alle 5 del mattino e le scuole sono ancora chiuse, perchè non hanno mai riaperto. “In Uganda la sanità pubblica è a pagamento – fa notare Ruspantini – in terapia intensiva ci vai soltanto se puoi pagare. Da maggio a giugno i contagi sono aumentati del 2800 per cento, ma i numeri sono assolutamente poco affidabili. Perchè in un paese di oltre 47 milioni di abitanti si fanno pochissimi tamponi, poche migliaia. Anche i casi di virus contabilizzati dall’inizio dell’epidemia sono molto pochi, circa 125mila, i morti 3mila e cento, ma è facile comprendere come non siano numeri realistici”.

Africa MIssion coronavirus

“La situazione del paese è complicata da diversi fattori e dinamiche interne che non hanno a che fare con il virus – prosegue -, ma soprattutto è la percezione dell’epidemia che manca. Nella vita di tutti i giorni le mascherine sono obbligatorie, ma in realtà le utilizzano in pochi, le forze dell’ordine, i dipendenti pubblici. La maggioranza delle persone in Uganda è convinta che il covid sia un problema principalmente dei ‘muzungu’, ovvero i bianchi europei. Anche l’informazione lo tratta come un tema relativo a fronte della marea di problemi che già devono affrontare gli ugandesi, ma questo non vuol dire che il virus non ci sia. Molti lo hanno preso, tanti senza sintomi, ma tanti con strascichi fisici pesanti, tanti sono morti”. “E poi il virus è un enorme danno per l’economia – fa notare – e la vita materiale delle persone: con il lockdown le scuole sono chiuse e la Dad non esiste. Sono stati sospesi anche gli esami, tranne in alcuni rari casi. Ma la scuola per tanti bambini significa anche un pasto quotidiano che ora non c’è o a carico delle famiglie. Con la sospensione dei mercati, inoltre, c’è meno lavoro e meno sostentamento per i tanti che vivono alla giornata, considerando che il sostegno dello Stato non esiste e l’unico intervento di carattere umanitario è quello del World Food Program. Insomma, c’è un gigantesco effetto sociale della pandemia, con una riduzione sensibile del reddito”.

Anche la campagna vaccinale procede a ritmi lentissimi. “I vaccini sono arrivati quasi subito in Uganda, – rammenta Ruspantini – con una prima tranche di 400mila dosi di AstraZeneca, ma a questi se ne sono aggiunti ben pochi. A dispetto dei proclami, i vaccini per l’Africa finora sono rimasti solo sulla carta. E poi c’è un grande problema: convincere le persone a farsi immunizzare. La somministrazione è stata fatta soltanto a una percentuale infima della popolazione, qui la media come in altri stati africani è di circa il 2,7% del totale. Non si vaccina nessuno a causa di un concorso di fattori, una rete sanitaria assolutamente insufficiente, la difficoltà di distribuzione e di conservazione dei vaccini Rna che hanno bisogno di temperature molto basse, e una percezione della pericolosità del virus, come dicevo, molto bassa. In Uganda, come in gran parte dell’Africa nera, il covid non è il primo problema, rendiamoci conto che le persone vivono in condizioni molto difficili, spesso hanno altro a cui pensare”.

In Africa il virus continua circolare pressochè indisturbato, grazie al sottosviluppo e alla mancanza di un’azione globale efficace. A che serve fare la terza dose nel mondo sviluppato senza una vera strategia in grado di immunizzare anche i paesi più poveri? Con la retorica non si combatte il covid, che rischia di trovare terreno fertile per generare nuove varianti e rendersi ancora più pericoloso. E non saranno certo i muri a fermarlo. “Nelle nostre missioni siamo riusciti a vaccinare – racconta Ruspantini – circa l’80% dei nostri dipendenti, ma siamo un’eccezione. Stiamo cercando di riprendere le nostre attività, come la scuola di formazione agricola che siamo riusciti a riaprire ad Alito nella provinca di Lira, naturalmente con l’autorizzazione delle autorità e riducendo al minimo i rischi attraverso le dovute precauzioni, ma la situazione resta molto difficile”. “Servono molti più vaccini – conclude – di quanti ne sono stati promessi e se disponessimo di scorte adeguate Africa Mission potrebbe diventare un hub per la somministrazione, come già avviene per i nostri studenti. Per questo chiediamo sostegno ai paesi ricchi, ma occorre anche una sensibilizzazione di tutte le persone per aiutare l’Africa e i paesi come l’Uganda”.

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