Inverno demografico a Piacenza “Nel 2030 si rischiano 30mila persone in meno in età lavorativa” foto

La Provincia di Piacenza ha deciso di organizzare un ciclo di workshop tematici dal titolo “Piacenza e il suo futuro: incontri verso il PTAV”, ovvero il Piano territoriale di Area vasta, il nuovo strumento di pianificazione provinciale previsto dalla legge regionale 24/2017. La serie di eventi va nella direzione di aprire un importante spazio di confronto su attualità e prospettive del territorio piacentino, alla luce dell’esame del contesto attuale e delle principali tendenze in atto. Nei diversi appuntamenti l’approfondita presentazione dell’analisi della realtà locale, relativamente agli specifici temi trattati, sarà accompagnata dall’intervento da parte di un esperto di livello nazionale, che porterà il punto di vista di un osservatore esterno al territorio.

Il primo workshop si è tenuto presso la Sala consiliare della Provincia di Piacenza nella mattinata del 9 dicembre, con un focus sulle dinamiche demografiche e i loro riflessi sul sistema economico e il welfare locali.

Dopo l’introduzione di Vittorio Silva, direttore generale della Provincia di Piacenza, ha preso la parola l’architetto Fatima Alagna, del Politecnico, che ha tracciato una panoramica sullo scenario demografico provinciale attuale e le tendenze future.

“Dei comuni della Provincia – ha spiegato – circa la metà è sotto i 3mila abitanti, mentre il 70 per cento è sotto i 5 mila. Solo Piacenza è sopra i 100mila, ma con una densità di popolazione piuttosto ridotta”.

Alagna ha poi analizzato i decenni 2001/2011 e 2011/2021, notando che se nel primo periodo considerato “si era registrata una crescita di 18mila abitanti nella nostra provincia, in quello successivo l’aumento è stato solo di 3mila persone, la maggior parte nel Comune capoluogo. A contribuire soprattutto il saldo migratorio, mentre la natalità è in evidente calo. Nell’ultimo anno ha poi inciso anche la pandemia, che ha comportato un elevato tasso di mortalità nella nostra provincia, il terzo più alto in Italia dopo Bergamo e Cremona”.

“Si registra -ha aggiunto – anche un accelerazione nell’invecchiamento della popolazione. Il rapporto tra over 64 e under 15, il cosiddetto indice di vecchiaia, è sopra la media regionale e tende a crescere, soprattutto nella zona collinare e montuosa”.

Sul fronte occupazione “siamo allineati al dato regionale – ha specificato l’architetto -, ma tra le criticità bisogna evidenziare la grossa presenza di rapporti lavorativi precari e un tasso di occupazione femminile inferiore a quello maschile”.

Alagna ha poi provato ad immaginare uno scenario futuro se queste tendenze si dovessero consolidare o aggravare. “Se il trend rimane questo – ha affermato – nel 2035 nella provincia di Piacenza è previsto un drastico calo della popolazione giovanile, con 30mila persone in meno in età lavorativa“.

Le sfide da affrontare sono tante e differenziate a seconda delle diverse porzioni di territorio. “Nelle aree a maggior sviluppo – ha affermato Alagna – dobbiamo chiederci come contrastare il calo di popolazione in età di lavoro, come essere attrattivi per famiglie giovani e lavoratori qualificati, come rispondere ai nuovi bisogni di abitare e di welfare, su quali traiettorie di sviluppo fare leva, come rendere più salubre e migliore la qualità del vivere, come costruire un’offerta di mobilità più sostenibile”.

“Nelle aree collinari e montane – ha concluso -, invece, è necessario chiedersi come fermare il declino demografico e garantire una migliore vivibilità. E ancora, quali forme di erogazione dei servizi promuovere? E quali condizioni per lo sviluppo di micro-economie locali sviluppare per attirare giovani imprenditori?”.

La parola è poi passata al docente universitario e saggista Alessandro Rosina, Ordinario di Demografia e Statistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ed editorialista per Il Sole 24 Ore, che ha allargato il campo di analisi al panorama nazionale, indagando il declino demografico del nostro Paese rispetto agli altri Stati europei, anche in relazione all’impatto della pandemia.

“Alla fine degli anni ’70 – ha spiegato – il numero medio di figli in Italia è sceso sotto a 2, quindi sotto 1,5 a metà anni ’80 e poi mai più tornato sopra. Le nascite da oltre 1 milione registrate a metà anni ’70 si sono praticamente dimezzate verso fine secolo. In questo scenario l’immigrazione – consistente fra fine XX e prima parte del XXI secolo – è sempre meno in grado di compensare questo declino, ulteriormente aggravato dalla recessione del 2008-2013. Rispetto al resto d’Europa – ha aggiunto -, in Italia si fanno meno figli, più tardi e sempre più persone rinunciano”.

“Insomma – ha evidenziato -, alla prova della pandemia siamo arrivati già con una fragilità demografica significativa e una scarsità di politiche adeguate a convergere verso la media europea”.

Tra gli elementi più significativi alla base del calo delle nascite, Rosina ha messo in evidenza “la revisione al ribasso dei progetti di vita delle persone, che si trasforma in revisione al ribasso della popolazione”.

Uno spartiacque significativo è stata la crisi economica del 2008. “Prima della recessione – ha spiegato – il numero medio di figli per donna era in crescita nel Nord Italia: in Emilia Romagna si era sopra 1,5, e Piacenza era in linea con questa tendenza, addirittura sopra la media nazionale. Poi il percorso si è interrotto, la curva ha iniziato a calare verso il basso, ed uno degli effetti più marcati della denatalità, che riguarda anche Piacenza, è che gli attuali 30enni sono 1/3 dei 50enni”.

Le proposte per invertire la rotta sono numerose. “La pandemia – ha rilevato Rosina – ha portato le nascite sotto 400mila e nello scenario più favorevole potremmo tronare sopra le 500mila entro il 2030. Per invertire in modo solido la tendenza servono però politiche che consentano di attivare una ripresa della fecondità, che non siano solo un rimbalzo temporaneo post-emergenza e che portino l’Italia sui livelli dei Paesi Ue con fecondità più alta, come Francia e Svezia che sono attorno a 1,75.  Le misure chiave possono essere l’assegno per i genitori, non solo unico ma anche universale, da alzare progressivamente ad almeno 200 euro al mese per tutti i figli. Poi i nidi, per cui bisogna puntare almeno al 50% della copertura con abbattimento delle rette e il potenziamento del congedo di paternità, da estendere ad almeno 3 mesi pagati all’80%”.

Dall’analisi dei dati si è poi passati alla discussione, con la tavola rotonda moderata da Pietro Visconti, direttore di Libertà, che ha visto la partecipazione di Patrizia Barbieri, presidente della Provincia e sindaco di Piacenza, Massimo Castelli, sindaco di Cerignale e coordinatore ANCI Piccoli Comuni, Luca Baldino, direttore AUSL Piacenza, Francesco Rolleri, presidente Confindustria Piacenza, Giacomo Ponginibbi, presidente CONFAPI Piacenza, Gianluca Zilocchi, segretario generale Cgil Piacenza.

 

 

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