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“I matti sono nostri fratelli” nel libro dello psichiatra Paolo Milone. La recensione

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“I matti sono nostri fratelli” dice lo psichiatra Paolo Milone nel suo libro “L’arte di legare le persone.” La redattrice di “Universi” Chiara Ruggeri ha letto e commentato il libro dello psichiatra recentemente ospite a Piacenza del festival letterario “Incontri”. Ecco l’articolo:

Paolo Milone ha scritto un libro, “L’arte di legare le persone” (Einaudi 2021), sulla sua pluridecennale esperienza nel reparto di psichiatria d’urgenza di un ospedale di Genova. Ha aderito all’iniziativa organizzata dalle Officine Gutenberg (“Incontri – lettura, scrittura e fragilità”) partecipando il 1° dicembre a un dibattito con Brunello Buonocore, responsabile del servizio di disabilità e fragilità sociale di Asp Piacenza e con lo psichiatra Antonio Mosti. Non ho assistito direttamente all’incontro, ma mi ha molto colpito, e spinto a leggere il libro, il titolo, che secondo me ha un duplice significato. Rimanda infatti sia all’abitudine di legare i malati ai letti, tipica della psichiatria tradizionale antecedente alla riforma Basaglia che ha portato alla chiusura dei manicomi, sia al messaggio trasmesso da Milone che con i pazienti psichiatrici si creano legami profondi non attraverso le parole, che diventano totalmente inutili in un ambito in cui domina il “rumore” interiore dei malati, ma attraverso il corpo. Lo psichiatra genovese cita numerosi esempi pratici derivanti dalla sua esperienza diretta con pazienti con disturbi e patologie molto diversi l’uno dall’altro, in cui, dove fallisce il colloquio col paziente, intervengono i movimenti facciali e corporei e il contatto fisico, anche violento, del malato verso il medico, per comunicare la sofferenza incessante e la paura, che è propria di ogni essere umano, davanti al problema della sopravvivenza in un abisso di oscurità.

L’atteggiamento di Milone è sempre umano e mai rigido e giudicante. Insiste sulla necessità per uno psichiatra di curare il paziente diminuendo le sue angosce, le sue paure e le sue sofferenze sia con le medicine che, in casi di crisi acute, con il ricorso alla contenzione del malato per impedirgli di farsi del male. Egli ha avuto il coraggio di trattare un tema scomodo e tabù per la moderna psichiatria che condanna il ricorso a mezzi costrittivi. Per Milone, però, la teoria a volte è sconfitta dalla realtà e lui sa per esperienza che davanti a situazioni estreme bisogna avere la forza di andare contro i propri principi e agire pensando solo al bene del paziente. Un altro aspetto che mi è molto piaciuto del libro di Milone è che questo psichiatra, così votato al suo mestiere, affronti il tema complesso e difficile della malattia mentale non usando il linguaggio della medicina, ma quello della letteratura, ricorrendo spesso a metafore poetiche per esprimere il suo dolore e la sua impotenza davanti a malattie incurabili della mente contro le quali la lotta è infinita e talvolta senza vittoria. Il libro si presenta come una specie di taccuino su cui lo psichiatra annota, a volte in tempo reale e a volte sotto forma di riflessioni generali sulla condizione umana, quello che succede normalmente nel reparto 77 dove vengono ricoverati i pazienti in preda a crisi violente che necessitano di un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) perché, a causa della loro malattia, rifiutano le cure.

Milone nomina i pazienti per nome, come se fossero amici o fratelli, perché essi non sono diversi da noi “normali”, ma semplicemente, per colpa del destino, sono vittime di una malattia mentale senza avere nessuna colpa. In particolare, lui racconta un po’ per volta il dramma di Lucrezia, una ragazza di vent’anni che precipita sempre di più nel vortice della follia e dell’autolesionismo fino ad arrivare al suicidio, previsto, ma purtroppo inevitabile. Paolo Milone e i colleghi si sentono in parte responsabili della sua morte poiché hanno fallito con le terapie a loro disposizione e non hanno saputo rispondere alla sua disperata richiesta di aiuto espressa attraverso i numerosi tagli che si infliggeva quotidianamente con delle lamette.

Vorrei esprimere la mia opinione sul problema terribile della malattia mentale che ho potuto comprendere meglio grazie al libro autobiografico di Paolo Milone. Fortunatamente non sono mai stata sfiorata da problemi psichici né leggeri né pesanti, ma, avendo sofferto tanto in vita mia, riesco a cogliere il lato umano aldilà della patologia e capisco che una persona giovane e piena di vita possa arrivare al punto di arrendersi davanti al “mostro” che non le dà mai pace e scegliere la soluzione apparentemente più spaventosa perché la vita per lei è ancora più tremenda della morte.

Chiara Ruggeri

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