Anni sessanta, le cinque prove scritte del mio esame di maturità

L’esame di maturità è tornato di recente un tema di attualità. Nelle settimane passate gli studenti hanno protestato contro le decisioni del Ministero dell’Istruzione di reintrodurre le prove scritte, sospese negli anni della pandemia. Per questo vale la pena tornare indietro nel tempo per capire come è cambiato l’esame di maturità. Facciamo allora un viaggio a ritroso negli anni ’60.

L’esame di maturità di Loredana Mosti
Parliamo degli anni ’60. L’esame di maturità cominciava la prima settimana di luglio con cinque prove scritte: per noi del Classico ad esempio, una di italiano, due di latino (una dall’italiano e una dal latino), una di greco e una di matematica (sì, scritta!); i ragazzi dello Scientifico al posto di greco avevano disegno (otto ore!). poi c’era un giorno dedicato alla prova pratica di educazione fisica. Allora i nostri insegnanti di educazione fisica, almeno i più anziani, erano ancora di nomina fascista (il regime aveva trovato nel Coni lo sponsor della propria propaganda educativo-militare) e i programmi in parte ricalcavano l’addestramento militare con la marcia ed altri esercizi a corpo libero o con gli attrezzi. Anche per noi femmine. Infine cominciavano gli orali, che per ogni candidato consistevano in due giornate, calendarizzate con sorteggio, , una dedicata a TUTTE le materie umanistiche e una a TUTTE le materie scientifiche sul programma degli ultimi due anni. Commissari e presidente esterni. Un membro interno per ogni commissione. La mia classe, quell’anno, ridotta a diciotto alunni dalle decimazioni del percorso triennale, fu aggregata ad un’altra sezione e quindi non ebbe nemmeno la consolazione di un proprio docente in commissione.
Il primo vero impatto con la realtà extrascolastica in veste ostile.
Con tutto il bene che posso provare per la mia città, devo premettere e ammettere che purtroppo ha il clima peggiore d’Italia e il mese di luglio è meglio passarlo altrove.
Per gli scritti ci avevano collocato con i banchi, quelli monumentali degli anni ’40, in un corridoio del secondo piano illuminato da ampi finestroni, che riflettevano (ahimè!) tutto il sole delle più calde giornate estive, già dalle prime ore del mattino. Tra le 12 e le 14, orari previsti per le consegne degli elaborati, oltre ai cervelli erano fritti anche i corpi. Mi occorre precisare infatti che la tenuta d’obbligo per la scuola e in particolare per gli esami prevedeva il grembiule nero per noi ragazze e giacca e cravatta per i ragazzi. Altro che t-shirt!

Noi femmine certamente eravamo avvantaggiate perché sotto il grembiule potevamo mettere abiti più leggeri (c’era però sempre l’incomodo delle calze, obbligatorie anche se d’estate, sorrette oltretutto dal reggicalze!), ma i ragazzi erano davvero in croce, tanto che una di quelle mattine il Presidente di commissione, mosso a pietà, concesse loro di togliersi la giacca, con grande disagio, ma anche sollievo, generale.
Solo il ’68 avrebbe sdoganato anche l’abbigliamento, rendendolo negli anni, in verità, persino troppo disinvolto (da docente di liceo ricordo di aver visto girare nei corridoi, durante il periodo di esami, giovanotti in bermuda e infradito! Magari erano studenti già in vacanza!)
Tra gli scritti e il primo orale passò una decina di giorni. Come possa ancora dopo sessant’anni ricordare tutto di quel periodo è cosa da seduta psicanalitica. Eppure mi è chiaro come fosse ieri.
In casa ripassare era impossibile. A parte l’ansia che mia madre cercava di mitigare con frullati e fette di pane e marmellata, di giorno per il caldo opprimente da cui non ci si poteva esimere né tenendo socchiuse le persiane delle finestre, né accendendo il ventilatore da tavolo (non c’era l’aria condizionata nelle case) mi convinsi ad approntare una sorta di piano lettura nella vasca da bagno che era di acciaio smaltato e quindi relativamente fresca. La sera si sarebbe potuto sperare in un refolo d’aria aprendo le finestre, ma ahimè, vivevo sopra un’osteria sul lato cucina e un bar d’angolo, molto frequentato, sul lato notte. Tra le partite a carte da una parte e il juke box dall’altra fino alle prime ore del mattino, non solo non riuscivo a concentrarmi, ma nemmeno a dormire… Corsi incontro alle prove orali come si corre incontro a un temuto evento che non si può evitare, con un senso di liberazione.

E correvano intanto anche le voci sui commissari esaminatori, le domande ricorrenti e i loro…pallini. Il gruppo scientifico si diceva che fosse controllato da una specie di scienziato pazzo, dal comportamento stralunato, che faceva strane domande di astronomia.
Mi toccò proprio cominciare gli orali dal gruppo scientifico. Gli esami si tenevano nella palestra, dove erano state sistemate, a opportuna distanza, due postazioni, per i due gruppi di materie. Mi avvicinai al tavolo della commissione scientifica, su cui effettivamente dominava, per fisico e personalità, lo scienziato pazzo, il quale mi intimò di sedermi e di firmare il registro di presenza, indicandomi col dito dove dovevo scrivere. Ero terrorizzata. Con la piaggeria degna del più goffo Fantozzi, per assecondare il mio interlocutore, firmai scrivendo il mio nome e cognome da destra a sinistra e a lettere capovolte, in modo cioè che chi leggeva le vedeva rivolte verso di sé…L’artificioso esercizio di stile grafico provocò la reazione stupefatta e indispettita dello scienziato pazzo, che mi urlò un” ma cosa sta facendo?!”, attivando in me il dispositivo che ruppe l’incantesimo e mi permise di sostenere l’esame con successo. Dal tavolo delle materie umanistiche, invece, su cui contavo di giocare le mie carte migliori, tornai con un profondo senso di frustrazione. Nello scritto di greco (in cui notoriamente viaggiavo tra le eccellenze) avevo strappato una misera sufficienza e questo mi provocò una bruciante umiliazione, visto che oltretutto avevo passato quasi mezzo compito ad un compagno, il quale con gli opportuni ritocchi l’aveva spuntata in maniera molto più elegante e proficua. Alla fine persino nell’interrogazione di Storia riuscii a confondere i moti risorgimentali del ’30 con quelli del’48, dimostrando di aver capito ben poco della differente portata tra i due e solo l’alto voto di ammissione mi salvò da una rimandatura ( allora c’erano gli esami di riparazione a settembre anche per i maturandi!!!). Una débacle, insomma.
Credo di aver rivissuto per almeno due anni l’esame di maturità come incubo notturno, nonostante avessi scelto come facoltà universitaria proprio lettere antiche. E alla fine mi sono laureata con una tesi in…Storia!!!

Loredana Mosti

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