“Riforma medicina generale da rivedere: rischia di peggiorare una situazione già critica”

“La bozza dell’accordo tra Ministero della Salute e Regioni che ridefinisce ruoli e compiti dei medici di medicina generale (MMG) disegnando di fatto il futuro della professione, contiene diverse criticità sulle quali è necessario intervenire. Aspetti che rischiano concretamente di peggiorare una situazione già critica per professionisti, sempre in prima linea anche durante la pandemia, che rappresentano un fondamentale punto di riferimento per i cittadini e si trovano già soffocati dai troppi adempimenti burocratici cui devono quotidianamente far fronte”.

E’ quanto afferma Nicola Arcelli, medico di famiglia e vicepresidente provinciale dello SNAMI (Sindacato Nazionale Autonomo Medici Italiani), che interviene sulla proposta di riforma che riguarda la medicina generale: “Il testo in particolare – spiega Arcelli – prevede il mantenimento di un rapporto convenzionato a tempo pieno con il SSN, su scelta fiduciaria del paziente, decisione che riteniamo positiva. Un primo problema risiede però nel monte ore richiesto e nella sua articolazione: i medici dovranno infatti garantire un impegno orario settimanale di 38 ore, da suddividere in fino a 20 ore nel proprio studio (in base al numero di assistiti) e 18 ore in attività sanitarie promosse dal distretto, di cui almeno 6 nelle Case della Comunità; i medici non massimalisti, ovvero con un numero di assistiti inferiore ai 1.000, completeranno invece l’impegno orario svolgendo attività organizzate e promosse dal distretto che si aggiungono alle 18 ore precedentemente richiamate”.

“Si tratta – afferma – di una suddivisione che mal si concilia con il lavoro e il presidio svolto dal MMG, che richiede quella flessibilità e autonomia necessaria per rispondere alle esigenze del paziente e organizzare al meglio la propria attività (quando il medico sarà, ad esempio, impegnato nella Casa di Comunità non potrà essere disponibile in ambulatorio) che, oltre a quella ambulatoriale, comprende le visite domiciliari ai propri assistiti e la pronta risposta ad eventuali urgenze”. Per Arcelli “il rischio concreto è di non riuscire più a fornire il servizio oggi normalmente garantito, con evidenti ripercussioni sulla qualità dell’assistenza offerta ai pazienti, che – è bene chiarirlo – con le modifiche introdotte da questo nuovo accordo non potranno più contattare il proprio medico durante tutta la giornata come fatto finora”. “Come è bene evidenziare – aggiunge – che già oggi il nostro impegno lavorativo, seppur non ricompreso in un monte orario predefinito, ammonta a circa dodici ore al giorno comprendendo le urgenze e le consulenze telefoniche, in questi ultimi mesi in costante aumento a causa della pandemia”.

“Altra criticità – prosegue – riguarda il nuovo sistema di remunerazione, così articolato: una quota fissa del 70% che comprende le ore destinate alle attività ambulatoriali (massimo 20), le 6 ore di attività svolte all’interno della casa della comunità e, per i medici non massimalisti, le ore “residue” necessarie al completamento del ciclo fiduciario (20 ore) per le attività promosse dal distretto (ai medici non massimalisti, tenuti all’erogazione delle ore “residue”, è comunque riconosciuta una quota equivalente a quella dei massimalisti); una variabile del 30% a completamento delle 38 ore (12 ore a settimana) per il raggiungimento degli obiettivi di salute definiti dal distretto (la partecipazione tramite AFT ed il raggiungimento degli obiettivi prefissati è condizione necessaria per accedere a questa quota della remunerazione). Si tratta di fatto di una retribuzione oraria che riteniamo rappresenti una regressione notevole, andando di fatto ad equiparare i medici di famiglia a personale dipendente con un monte ore prestabilito; buon senso vorrebbe invece – anche quale meccanismo incentivante per il medico, con riflessi positivi sulla qualità dell’assistenza ai pazienti – una retribuzione basata interamente sul numero di assistiti, come è sempre stato fino ad ora”.

Arcelli sottolinea poi un aspetto che interessa la libera professione: “Secondo quanto previsto dalla bozza, si toglierebbe sostanzialmente ai MMG la possibilità di una libera professione “completa”: è infatti prevista la possibilità, in rapporto di esclusività, di svolgere 6 ore di attività libero professionali settimanali funzionali alle attività programmate dalla Casa della Salute. Fino ad oggi, invece, il medico di famiglia non poteva fare più di cinque ore di libera professione settimanali, ma senza quel vincolo di esclusività con l’azienda sanitaria esplicitato invece nel testo. Questo significa la morte della libera professione per i MMG, con il rischio di alti tassi di abbandono da parte di quei medici di famiglia specialisti in una disciplina e che svolgono attività libero professionale. In un contesto generale, come quello attuale, di forte carenza di medici di base, l’inserimento di ulteriori vincoli non possa che peggiorare ulteriormente questa situazione. Si è parlato anche di un possibile passaggio alla dipendenza per i medici di medicina generale: un’ipotesi che andrebbe a distruggere l’intero sistema e quel rapporto fiduciario tra medico e paziente, un’alleanza terapeutica fondamentale a tutela della salute”.

Secondo Arcelli il modello da prendere ad esempio è quello esistente nella nostra regione, “dove già da tempo i medici di medicina generale cooperano con le aziende sanitarie locali e si occupano di quelle attività – dai percorsi diagnostici terapeutici assistenziali, ai progetti di salute, alle campagne di prevenzione, alle vaccinazioni, all’assistenza domiciliare, fino alla telemedicina – che la proposta di riforma vuole incasellare nelle 12 ore settimanali a completamento dell’attività ambulatoriale. Andrebbe invece implementata – propone -, organizzando appositi corsi di formazione, la diagnostica di primo livello negli ambulatori e all’interno della medicina di gruppo, per sgravare così il lavoro dei pronto soccorso migliorando il servizio nei confronti dei pazienti”.

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