Le Rubriche di PiacenzaSera - Universi

Come ridurre l’inquinamento delle polveri nell’aria? La risposta arriva dalle api

Cosa c’entrano le api con l’inquinamento atmosferico e le polveri sottili, che purtroppo siamo costretti a respirare per gran parte dell’anno? Lo ha spiegato alla redazione di “Universi” Giulia Papa, post-doc in Entomologia generale e applicata del Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali Sostenibili (Di.Pro.Ve.S.) nella Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Giulia ha guidato la redazione di Universi dentro a un piccolo viaggio molto affascinante, nel mondo delle api.

All’interno del gruppo della dottoressa Ilaria Negri, ricercatrice ed entomologa, Giulia Papa ha sviluppato una linea di ricerca del tutto inedita, quella che individua le api come sentinelle dell’inquinamento dell’aria e degli effetti che le polveri sottili hanno sulla loro salute (studi eco-tossicologici). Ecco l’intervista a cui l’hanno sottoposta i redattori di Universi, Hassan, Chiara, Micaela, Alex e Roberta. Il dialogo prende le mosse dal meraviglioso mondo delle api, dalla loro vita sociale e la produzione del miele, fino a toccare il tema dell’inquinamento dell’aria.

Quanto può arrivare a vivere un’ape?
Va fatta una premessa: l’alveare è composto da tantissime api che possiamo dividere in tre caste, ovvero: la casta dell’ape regina, quella delle api operaie e quella dei fuchi. Quindi, a seconda della casta l’ape avrà una vita più o meno longeva, ovvero circa 40 giorni per l’ape operaia, 50-60 giorni per i fuchi e 4-5 anni per la regina. Dal punto di vista morfologico le tre caste hanno caratteristiche diverse. L’ape regina è la più grande di tutte, è l’unica ape femmina che si riproduce e ha l’addome molto lungo poiché al suo interno deve conservare sia gli oociti (uova) che pacchetti di spermatozoi all’interno della spermateca. Di ape regina all’interno dell’alveare ce n’è una sola. Le operaie sono le api più numerose e ricoprono molteplici mansioni. Infine, ci sono i fuchi, che sono i maschi dell’alveare, il loro scopo è di accoppiarsi con la regina di un altro alveare. Si riconoscono per la forma tozza dell’addome, per l’assenza del pungiglione e soprattutto per gli occhi giganteschi, fondamentali per individuare la regina vergine durante il volo nuziale. La regina si accoppia una sola volta nella sua vita e l’accoppiamento avviene in un luogo particolare chiamato punto di raduno. Durante il volo nuziale la regina si accoppia con parecchi fuchi (anche più di dieci accoppiamenti) e dopo l’accoppiamento il fuco cade a terra e muore. La riproduzione sessuata delle api avviene per partenogenesi, quindi la regina può deporre due tipi di uova: un uovo non fecondato da cui nascerà un fuco, o un uovo fecondato da cui nascerà un’ape femmina, cioè una operaia o una regina. Se la larva che nasce dall’uovo verrà nutrita dalle operaie nutrici solo ed esclusivamente con la pappa reale, quella larva diventerà una ape regina. Invece, se la larva verrà nutrita solo i primi tre giorni con la pappa reale e poi con un impasto di miele e polline (pane delle api) essa si svilupperà come ape operaia. Durante la sua vita, l’ape operaia ricopre diverse mansioni. Per i primi 21 giorni dal suo sfarfallamento l’ape operaia resterà dentro l’alveare e per questo motivo viene chiamata ape di casa. Essa si occuperà della pulizia delle celle, della nutrizione delle larve e della regina, della costruzione dei favi e della difesa dell’alveare. Dopo questi 21 giorni l’ape operaia diventa ape di campo per altri 21giorni circa, e sarà proprio quest’ape (per essere più precisi l’ape bottinatrice) che andrà a raccogliere il nettare, il polline, la propoli e l’acqua per tutta la sua famiglia. Durante i suoi lunghi voli di decine di chilometri per bottinare circa mille fiori al giorno l’ape offre un servizio molto importante cioè l’impollinazione ed è contemporaneamente a questo servizio che cattura il particolato atmosferico oggetto della nostra ricerca.

Giulia Papa Universi

Un alveare da quante arnie è composto?
L’alveare è la casa naturale delle api costruita interamente di cera e posizionata nelle cavità degli alberi o nelle cavità rocciose. Invece, l’arnia è la casa creata dall’uomo per ospitare le api e produrre il miele. Quando sentite parlare di apiario identifichiamo il luogo dove vengono posizionate le arnie e quindi possiamo avere apiari con una o più arnie.

Qual è la reale importanza delle api per l’agricoltura e in generale per l’approvvigionamento umano del cibo?
Le api, ma anche farfalle, vespe, bombi, mosche, coleotteri e pipistrelli, sono animali importanti per i nostri ecosistemi in quanto impollinatori. L’impollinazione è un servizio ecosistemico di regolazione che è stimato di 150 miliardi di euro all’anno e permette di salvaguardare la biodiversità. Ovviamente nel settore agricolo l’impollinazione è fondamentale. Le api riescono a impollinare il 75% delle colture di interesse agrario, come zucchine, zucche, soia, fave, legumi in generale, avocado, kiwi, mandorle, caffè ecc. e il 90% delle piante selvatiche. Per esempio, l’impollinazione da parte delle api consente lo sviluppo di frutti più grandi e simmetrici che sono più apprezzati dai consumatori. Quando si dice che senza le api non ci sarebbe più vita è parzialmente vero; io modificherei questa frase dicendo che senza impollinatori (insetti e non) non ci sarebbe più vita perché verrebbero a mancare le piante che sono la parte più importante dell’ecosistema.

In questi ultimi anni, abbiamo assistito all’allarme legato alla diminuzione del numero delle api. Si sono comprese le cause di questo fenomeno?
Le api sono in calo, ma quando si parla di api non bisogna intendere solo le api da miele. Infatti, queste ultime sono molto presenti nel territorio ma quelle più a rischio sono le cosiddette api selvatiche di cui l’Italia ha un vasto patrimonio di circa mille specie. Ovviamente le api selvatiche non attirano tanto l’attenzione in quanto per l’uomo non hanno valore economico-produttivo. Il declino delle api è ancora in atto, le cause di ciò sono diverse, prime tra tutte l’agricoltura intensiva e il cambiamento climatico. La conseguenza più grave per le api, ma indirettamente anche per noi, è l’assenza di fiori nettariferi e polliniferi che si traduce in assenza di cibo. Senza andare molto lontano, nel 2021 abbiamo avuto una primavera anticipata e durante il corso della primavera è arrivata improvvisamente una gelata, giusto nel momento in cui quasi tutti gli alberi da frutto, e non solo, erano in fiore. Questo si è tramutato in perdita del raccolto sia per le api che per gli apicoltori che per gli stessi agricoltori. Qui faccio un appello, piantate fiori ovunque possiate: balconi, terrazzi, davanzali, questa piccola azione a favore delle api porterà del bene a tutti noi.

particella ala ape

Cos’ha evidenziato la tua ricerca sulle api bioindicatori della qualità dell’aria? Ci sono ricerche condotte sul bacino padano rispetto al tema dell’inquinamento da polveri sottili? Le api possono aiutarci a capire l’origine dell’inquinamento e a cambiare la situazione?
Noi studiamo il particolato atmosferico (PM) attraverso le ali delle api bottinatrici che, ricordiamo, sono quelle che volano tanto per raccogliere le fonti di cibo della colonia. Infatti, le ali delle api, attraverso il loro movimento, riescono a raccogliere moltissime particelle che sono disperse nell’aria e che poi si depositano sul loro margine. Noi abbiamo studiato soprattutto le api della zona della Pianura Padana, in particolare Parma e un sito in Val D’Arda, in provincia di Piacenza. Abbiamo scoperto che le api riescono a raccogliere non solo il particolato più grossolano (PM10) e il particolato fine (PM2.5), che sono quelli che vengono monitorati normalmente con le famose centraline, ma riescono a catturare anche il particolato ultrafine PM0.1 che è quello più pericoloso per la saluta umana. I nostri studi ci permettono di fare una analisi qualitativa del particolato, cioè grazie all’utilizzo di un microscopio elettronico a scansione dotato di una sonda a raggi-X riusciamo a studiarne la morfologia e la composizione mineralogica, dando così un nome alle particelle che troviamo e identificando la fonte di emissione. Grazie a questa tecnica di analisi e a studi del territorio preso in esame noi riusciamo a distinguere il particolato di origine antropica da quello naturale. Ad esempio, abbiamo riscontrato particelle ultrafini composte da ossidi di ferro e solfato di bario (barite) provenienti dal traffico veicolare dovute all’usura delle pastiglie e dei dischi dei freni e degli pneumatici. Oltre al particolato del traffico veicolare troviamo del particolato che deriva da una gestione non pienamente corretta di alcune fasi delle attività industriali (emissioni diffuse).

La combustione del metano rilascia particolato? La combustione del metano non emette particolato. Quello che può succedere è che le caldaie non vengano manutenute e la non pulizia e l’usura di alcune componenti possono emettere particolato.

Come funziona il processo di produzione del miele? La risposta nella pagina seguente

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