“Un’altra capitale bombardata, l’Europa non riesce ad essere un luogo sicuro”

“Abitare il presente, soprattutto in questo momento storico, vuol dire ‘occuparsi’ (in inglese to be concerned), ‘essere occupati e preoccupati’ di ciò che accade intorno a noi nell’accezione più ampia del termine, in un vasto perimetro di interessi, cura e attivismo. Naturalmente in questi giorni dobbiamo chiederci cosa significa vivere il presente per la popolazione di Kiev, da un giorno all’altro costretta a rifugiarsi in metropolitana per sfuggire ai bombardamenti: noi siamo ancora in una parte di mondo dove possiamo riflettere con calma e profondità su questi temi, ma per molti l’esigenza immediata è quella di sopravvivere al presente”.

Così ha iniziato la sua riflessione sulla necessità di uno sguardo plurale con cui leggere e vivere il nostro tempo Riccardo Noury, portavoce nazionale di Amnesty International. Un presente complesso e interconnesso tra conflitti di ieri e guerre di oggi, drammi umani a cui non si vuole trovare soluzione, battaglie per la libertà sostenute con successo e diritti ancora ampiamente negati. Ospite al Caffè letterario del liceo Gioia lo scorso 25 febbraio per il quarto appuntamento della rassegna ‘Visioni’ sul tema ‘Abitare il presente’, Noury ha esplorato diversi nodi critici della nostra realtà contemporanea dialogando a distanza con docenti e studenti, tra cui anche una studentessa dell’università di Bologna, responsabile d’ateneo per Amnesty International: dalla campagna per la liberazione di Patrick Zaki, all’analisi dell’attuale conflitto russo-ucraino, fino allo sguardo sulla rotta balcanica, teatro di brutali violenze nei confronti dei migranti. E altri scenari di violazioni individuali e collettive, a ricordare quanto ancora rimanga da fare in ambito di diritti, mai conquistati una volta per tutte e da difendere giorno dopo giorno.
Sul tema dei ‘Diritti di ieri e di oggi‘ sarà poi il prossimo incontro del Caffè Letterario, previsto per venerdì 4 marzo.

La professoressa del liceo Gioia Maria Carla Scorletti ha cominciato il dialogo con Noury chiedendo informazioni su evoluzione e futuri sviluppi del caso Zaki, attivista egiziano incarcerato al Cairo nel febbraio 2020 con l’accusa di diffondere notizie false e sostenuto da Amnesty International attraverso una vasta campagna di protesta. “In questo periodo siamo in una situazione di attesa per il processo che deve iniziare – ha detto il portavoce di Amnesty -, fiduciosi, consapevoli delle molteplici ambiguità della magistratura egiziana. Certamente la campagna ‘Free Patrick Zaki’, prima di piazza e poi on-line, è stata imponente, riuscendo a dare i suoi frutti grazie a numerosi partecipanti, varie manifestazioni, un eco costante, con il coinvolgimento di enti locali e università e l’uso intelligente dei social. Fino alla sospirata liberazione provvisoria di Patrick, dal 7 dicembre 2021 di nuovo accanto ai propri cari dopo ventidue mesi di carcere duro e rinvii”.

A sottolineare il ruolo centrale dell’Università di Bologna, città adottiva di Zaki dove lui studia, è anche Justina, frequentante d’ateneo responsabile del gruppo di Amnesty International. “Ci siamo attivati fin da subito, da quando nel febbraio 2020 non abbiamo visto tornare Patrick dal Cairo – spiega-: pieni di tensione siamo immediatamente scesi in piazza, era come se avessero incarcerato uno di noi. Da allora si è creato un abbraccio continuativo della comunità intorno al nostro collega, da parte di Comune, cittadini, professori, studenti e istituzioni, che dai cortei si è spostato sul web durante la pandemia senza mai smettere di scandire “Patrick libero subito”. Un stretta calorosa che ha permesso a tutti di continuare a lottare e ha potuto allentarsi solo con il ritorno di Zaki a Bologna”.

Cambio deciso di focus sulla drammatica, attualissima, crisi ucraina, che certo “non nasce all’improvviso – ha ricordato Noury -. Le responsabilità della diplomazia americana in merito sono forti, per aver perso di vista quello che stava già accadendo da tempo nella regione del Donbass e nelle due regioni separatiste di Donetsk e Luhansk riconosciute in seguito dalla Russia: in questi territori si sono susseguiti 8 anni di conflitti a bassa intensità che hanno provocato ondate di profughi, interruzione di diritti e 14000 morti. È stata poi tollerata silenziosamente l’annessione russa della Crimea nel 2014, sottovalutando, anche nel corso del conflitto in Siria, le mire imperialiste di Mosca. Da un lato abbiamo quindi una volontà di potenza sprezzante verso le norme del diritto internazionale; dall’altro lato però l’espansionismo politico- militare sempre più spinto della Nato a Est non può essere sottovaluto come causa dell’inasprimento del conflitto tra Russia e Occidente, con l’Europa diventata una sorta di risiko su cui piantare bandierine”.

“Il risultato? Per la terza volta in trent’anni ci troviamo con una capitale europea bombardata dopo Sarajevo e Belgrado –  ha continuato il portavoce di Amnesty -, a dimostrazione di quanto il ‘secolo breve’ si stia rivelando terribilmente lungo e doloroso mentre il suolo europeo non riesce ad essere luogo sicuro. Riscontriamo poi tutte le avvisaglie di enormi flussi di profughi, che diventeranno rifugiati se tutta l’Ucraina sarà territorio insicuro, le prove di uso di armi contro centri abitati sono abbondanti e i rischi ulteriori di un’escalation a colpi di guerra dall’ambito locale a quello internazionale sono reali. Un conflitto in cui l’energia finirebbe per diventare la prima arma di guerra e le sanzioni economiche potrebbero non bastare a far desistere il presidente russo dai suoi mutevoli obiettivi”.

Dalla guerra in Ucraina al ricordo dei bombardamenti di Sarajevo e delle guerre balcaniche, spinte dallo stesso nazionalismo esasperato che muove oggi Vladimir Putin a invadere l’Ucraina. “Molto diverso però sembra essere il trattamento riservato ai profughi in fuga da diversi conflitti – ha sottolineato Riccardo Noury -: a fronte dell’auspicabile accoglienza che pare volersi dedicare al popolo ucraino (persino da nazioni tradizionalmente restie come la Polonia), sulla rotta balcanica continuiamo infatti ad assistere a violenti respingimenti di migranti da parte della polizia croata, che costringono ad inverni trascorsi in condizioni infernali secondo una politica di ‘esternalizzazione’ da sempre finanziata in ambito europeo su questo versante”.

“L’accoglienza di profughi ucraini in territorio europeo secondo un sistema distributivo di quote pro-capite non deve poi portare a trascurare i bisogni urgenti della comunità afghana, dall’agosto del 2021 ricaduta rovinosamente in mano talebana”. Un tuffo nel buio che ha ridotto alla fame la popolazione spazzando via vent’anni di conquiste sociali ed economiche realizzate soprattutto grazie alle donne, per le quali ora vivere in Afghanistan è tornato a voler dire preoccuparsi di sopravvivere disponendo di qualcosa da mangiare per i propri figli. “Emergenze nuove richiedono risposte innovative straordinarie all’altezza del momento – ha evidenziato l’attivista -, non modelli di intervento sorpassati”.

Dall’arretrato Afghanistan all’avanzatissima Cina i lati oscuri restano nei volti contraddittori del Dragone, tra la fiaccola olimpica accesa dall’atleta uigura Diniger Ylamuijang (proveniente dalla regione dello Xinjiang nella Cina nord- occidentale) e le persecuzioni che dal 2017 Pechino attua nei confronti della minoranza turcofona musulmana che vive in quella stessa regione: con internamento in campi di concentramento chiamati comunemente dal governo ‘di rieducazione’. “Sospetti terroristi da trasformare in perfetti cittadini cinesi per usi e costumi – ha spiegato Noury -, anche attraverso brutali politiche di controllo delle nascite e separazione dei nuclei familiari. Gli appelli di Amnesty International a tutela della minoranza iugura si sono susseguiti, ma la scarsa sensibilità cinese in materia di diritti umani aumenta le difficoltà e non si ferma qui: permeando l’intera società oscura ogni voce di dissenso”.

La strada in tema di diritti e libertà da conquistare è ancora in salita, piena di battaglie da vivere. Molto è però stato fatto in questa direzione e le ‘buone notizie’ di Amnesty pubblicate via mail ogni lunedì lo testimoniano: storie di cambiamento riuscito, di norme più giuste diventate realtà. Un esempio? Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha vietato l’utilizzo di dichiarazioni ottenute con la tortura durante gli interrogatori della Cia nei processi in corso per terrorismo. Il 17 febbraio scorso 56 procuratori americani hanno anche firmato una dichiarazione congiunta chiedendo la fine della pena di morte, impegnandosi nel frattempo a non infliggerla verso soggetti con disabilità o disturbi mentali. Le ‘buone notizie’ sono molte di più e speriamo non si fermino.

Micaela Ghisoni

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