Piccolo galateo per un 25 aprile di guerra

Ci vorrebbe un galateo per il 25 aprile che ci apprestiamo a celebrare. Il 77esimo anniversario della liberazione dell’Italia dai nazifascisti che cade in un tempo di guerra. Per la prima volta dalla fine del secondo conflitto mondiale in Europa è stato infranto il tabù: un paese invade, violenta e umilia un altro paese, fratello e confinante, facendo compiere a tutti noi un viaggio a ritroso, nell’orribile mattatoio del Novecento. Anche per questo servirebbe un galateo. Il rispetto assoluto della “Pasqua civile” rappresentata dal 25 aprile, la rinascita del nostro paese sulle macerie della dittatura che ci portò nella sciagurata avventura bellica.

Intanto non ci vorrebbero fischi o slogan di parte, perché il 25 aprile è la festa di tutti. Perché tutti vivono e “usano” la democrazia e le sue regole, anche quelli che non si riconoscono in questa celebrazione. E se qualcuno, tra le istituzioni, tra gli eletti in Parlamento, a 77 anni di distanza si ostina a non venire in piazza, pazienza. Noi lo aspettiamo con fiducia la prossima volta. Ricordo con stima e affetto l’ex sindaco di Piacenza Gianguido Guidotti, che alla guida di una giunta di centrodestra, prese la tessera dell’Anpi, l’associazione nazionale partigiani d’Italia.

La Resistenza non è una reliquia da estrarre da un teca una volta all’anno e da esporre al culto collettivo, magari un culto un po’ burocratico e di maniera. La Resistenza non è nemmeno la prerogativa di una parte, un totem della sinistra antagonista e anacronistica, che non ha più una casa politica. Basterebbe leggere qualche libro in più, o ancora meglio, ascoltare i racconti dalla voce diretta dei partigiani, per capire che non può esserci un’esclusiva politica sulla lotta di Liberazione. A Piacenza più che altrove, visto che il capo del nostro movimento resistenziale era un signore chiamato Emilio Canzi, anarchico, e che i comandanti delle Divisioni erano cattolici o ex militari. Un galateo per il 25 aprile significa pure non cedere a facili parallelismi tra il passato della lotta di Liberazione e il tragico presente della guerra in Ucraina. Proprio perché i valori della Resistenza sono a fondamento della Costituzione e della nostra democrazia non possono essere piegati alle interpretazioni di comodo.

E’ vero, “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, ma non è un paradosso che l’articolo 11 della Carta fu conquistato con le armi. Il pacifismo assoluto e intransigente è una nobile tradizione di pensiero che ha svolto una funzione storica fondamentale, gli appelli contro il riarmo sono una voce da ascoltare sempre. Ma non commettiamo l’errore, mentre ci sono persone che lottano per restare vive sotto ai colpi di un esercito invasore, di ripararci al tepore di un bel principio astratto. La guerra fa schifo e non c’è nessuno più dei resistenti che può insegnarcelo, nessuno di loro però si limitò a marciare sotto a un vessillo per conquistare la libertà e la pace.

Mauro Ferri

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