Cresce la produzione industriale, brusco calo dell’export (-9%)

Confermato il generale avvicinamento (quando non il completo ritorno) del nostro sistema socio-economico al sentiero di sviluppo pre-pandemico, ma non mancano i timori per l’impatto negativo della guerra in Ucraina e le ripercussioni sull’economia internazionale, sui prezzi delle materie prime e dell’energia (del resto già sotto pressione anche prima dello scoppio del conflitto), così come sull’economia nazionale, regionale e locale.

E’ il quadro tracciato dal 41° rapporto congiunturale, relativo ai dati a bilancio consuntivo 2021, tracciato da Piacenz@ Economia Lavoro e Società – rivista semestrale redatta da Provincia di Piacenza, Camera di Commercio di Piacenza e Università Cattolica del Sacro Cuore – presentato nel corso di un incontro in Provincia aperto da Franco Albertini, presidente della Provincia di Piacenza (vicepresidente facente funzioni), che ha definito confortanti i dati del secondo semestre del 2021, dichiarandosi però preoccupato per i nuovi dati relativi al 2022 che giungeranno prossimamente. Il funzionario del settore Sviluppo economico e Pianificazione territoriale della Provincia di Piacenza, Antonio Colnaghi, ha presentato il rapporto, mentre Vittorio Silva, direttore generale della Provincia di Piacenza, Paolo Rizzi ed Enrico Ciciotti, docenti di Economia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, hanno commentato i dati.

Oggetto della presentazione sono stati i dati sul PIL, sulle imprese e, in generale, sull’occupazione e il mercato del lavoro riguardanti la provincia di Piacenza. Il dato che salta all’occhio è la storica inversione di tendenza che vede, nel 2021, le importazioni superare le esportazioni. I settori più sofferenti risultano essere quello metallurgico e quello dei macchinari industriali. Il turismo piacentino è ripartito, seppur ancora a rilento rispetto al periodo pre-pandemia. Di seguito una sintesi dei dati presentati.

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VARIAZIONI DEL PIL – Dopo il crollo registrato nel 2020 (-9%), il Pil della regione Emilia-Romagna è salito del 7,3% nel corso del 2021. Nell’anno corrente si prevede una ulteriore crescita del 2,4% (elaborazione di Ufficio Statistica Provincia di Piacenza su dati Istat e Prometeia per l’Emilia-Romagna).

DATI DI SINTESI 2021 (rapportati al 2020 e al 2019) – Nell’anno 2021 il totale dei residenti a Piacenza è salito di poco rispetto al 2020, mentre registra una brusca perdita rispetto al 2019. Questo dato racchiude i numerosi decessi avvenuti a causa della pandemia da Covid-19 nella fase acuta del 2020. La popolazione straniera è cresciuta nel 2021 rispetto sia al 2020 sia al 2019.

A livello imprenditoriale, il 2021 si è chiuso infatti a Piacenza con una crescita del 10,3% della produzione industriale, raggiungendo e superando il livello di attività del 2019 dello 0,9% (al contrario di quanto visto in regione: -0,1%). Lo stesso dicasi per il fatturato (+13,3%, e +4,1% sul 2019) e gli ordini complessivi (+15,2%, +8,2% sul 2019) manifatturieri, mentre il grado di utilizzo degli impianti è salito di oltre 10 punti al 78,1%, solo leggermente inferiore il 79,7% del 2019. Anche le imprese del commercio al dettaglio hanno sperimentato un deciso incremento delle vendite, pari a +7,1% sull’anno precedente (più elevato di quello medio regionale, che si è attestato a +4,2%), superando così i livelli del 2019 dell’un per cento (al contrario dell’insieme delle imprese emiliano-romagnole: -2,8%).

Il settore delle costruzioni accresce notevolmente il proprio fatturato rispetto al 2020, ma cala se confrontato col 2019. Preoccupante il dato sulle esportazioni – settore storicamente fondamentale per l’economia piacentina – che risultano essere in forte calo rispetto agli anni 2020 e 2019. Calano i fallimenti rispetto ai due anni precedenti. Dato scontato quello del turismo, azzerato dalla pandemia nel 2020, che nel 2021 risulta nettamente in crescita. Confrontato coi dati del 2019, è chiaro che anche il turismo è un settore che sta riprendendosi molto lentamente. Scendendo nel dettaglio, aumentano le presenze extra-alberghiere (affitti brevi, Bed&Breakfast), mentre i turisti stranieri sono ancora molti meno rispetto al 2019. Calano l’occupazione e le ore di cassa integrazione, ma salgono le cessazioni di contratti da lavoro dipendente. Schizza in alto l’indice dei prezzi al consumo, dunque l’inflazione.

“Ci sono due cose positive – analizza Paolo Rizzi – la prima è l’aumento delle imprese, dopo un calo continuo che lamentiamo da decenni. È un fatto culturale prima che economico, è positivo che ci sia voglia di impresa. L’altra è il turismo. L’Italia sta vivendo un boom, recuperando notevolmente dopo la pandemia. Piacenza cresce, c’è voglia di posti nuovi, e qui c’è ancora spazio prima di arrivare all’overtourism. I lati negativi che si rilevano – prosegue Rizzi – sono l’export e l’inflazione. L’export dei macchinari (fra cui robot) è anticongiunturale: costano tanto e le imprese in crisi investono con molta più prudenza. L’aumento dei prezzi al dettaglio è un fenomeno nazionale, ma a Piacenza sono saliti più che in altre città“.

CONGIUNTURA DELLE IMPRESE – La netta ripresa rispetto al 2020 delle produzioni manufatturiere industriali e artigianali, delle costruzioni e del commercio al dettaglio avvicina questi settori ai livelli del 2019, con aumenti minimi o, a volte, con perdite (-3,6% artigianato manufatturiero, contro -6% regionale, -1,9% volume affari costruzioni). Il commercio al dettaglio cresce dell’1% contro una perdita del 2,8% a livello regionale.

IMPORT/EXPORT – Qui c’è il dato più preoccupante. Piacenza registra un aumento delle importazioni pari al 5,6% rispetto al 2020 e un brusco calo delle esportazioni (-8,9%). Se nel 2020 il fatturato delle esportazioni superava di 250 milioni di euro la spesa per le importazioni, nel 2021 si verifica un’inversione di rotta, con un volume di esportazioni pari a 5,5 miliardi di euro contro i 6,1 miliardi delle importazioni. “Molto dell’export delle industrie piacentine – commenta Paolo Rizzi – è legato alla logistica e alle macchine industriali, che hanno un costo elevato per l’acquirente. È chiaro che, di fronte a un momento di difficoltà, gli investimenti delle aziende calano. Probabilmente è questa la spiegazione a un decremento così drastico delle esportazioni delle industrie di Piacenza e provincia”.

Nel dettaglio, per concentrarsi sulle produzioni prettamente piacentine (escludendo le imprese che operano nella logistica), è utile analizzare l’andamento delle esportazioni dei prodotti alimentari, metallurgici e dei macchinari. L’export alimentare è in leggera ripresa (+1,9% rispetto al 2020, +3,9% rispetto al 2019), ma a giustificare il passivo totale del volume delle esportazioni troviamo il dato dell’industria metallurgica (-2,3% rispetto al 2020, +3,9% rispetto al 2019) e soprattutto quello dei macchinari industriali (-7,5% rispetto al 2020, -6,6% rispetto al 2019). Una simile variazione percentuale pesa di più perché rapportata a valori assoluti ben più elevati.

ESPORTAZIONI IN BASE AD AREE/PAESI – L’effetto della Brexit è palese se si nota che le esportazioni piacentine verso il Regno Unito sono calate del 71,7% rispetto al 2020. Presumibilmente la caduta è dovuta al settore tessile (di produzione non piacentina), che prima esportava in modo rilevante nel Regno Unito. Il dato britannico ha contribuito ad abbassare quello europeo (-12,2%), nonostante un +5,4% rispetto alla Francia e un +0,1% rispetto alla Germania. Verso la Spagna l’export cala del 12,9%. Guardando fuori dal nostro continente, è negativo il bilancio dell’export verso Medio Oriente, America centro-meridionale e Africa, invariato verso l’Oceania, in positivo verso Asia orientale e America settentrionale. Il dato che salta all’occhio, però, è quello sopracitato che riguarda il Regno Unito. Rispetto al 2020 l’Italia ha registrato un +3,9% di esportazioni verso il Paese britannico, mentre nelle province limitrofe alla nostra l’andamento è, in certi casi, contraddittorio. Al -65,7% di Lodi e al -29,6% di Pavia rispondono un +9,1% di Reggio Emilia e un +3,9% di Cremona. Il dato dell’Emilia-Romagna registra complessivamente una perdita del 20,3%. “Il dato delle esportazioni a Piacenza è gonfiato dalla logistica – spiega Enrico Ciciotti – dunque da produzioni non piacentine. I settori di produzione piacentina sono quello della meccanica e dei metalli”.

DEMOGRAFIA DELLE IMPRESE – Il bilancio fra iscrizioni di nuove imprese e cessazioni a Piacenza è stato negativo dal 2012 al 2020. Nel 2021 si registra una nuova inversione di rotta, con 1368 nuove imprese registrate contro 1286 cessate (dalle statistiche si escludono le imprese cessate d’ufficio dunque, di fatto, già inoperose). Si tende ad aprire più imprese di costruzioni (+88 rispetto al 2020), più attività professionali, scientifiche e tecniche (+31) mentre chiudono molte attività di commercio all’ingrosso e al dettaglio e di riparazioni auto-moto (-88), di agricoltura, silvicoltura e pesca (-52).

TURISMO – Tutta Italia registra una crescita turistica rispetto al 2020. Ogni commento a questo dato è superfluo. Il trend è pressoché identico per tutte le province dell’Emilia-Romagna, con dati in crescita rispetto al 2020 ma ancora in calo rispetto al 2019: a Piacenza aumentano del 42,7% le presenze turistiche (si considera in questa statistica la permanenza misurata in numero di notti trascorse in strutture alberghiere, appartamenti, B&B, ecc.) rispetto al 2020, e risultano essere il 17,2% in meno rispetto al periodo pre-pandemico, con una ripresa maggiore rispetto alla maggior parte delle altre province emiliano-romagnole. Il dato piacentino non si discosta troppo da quello regionale (+38,9% rispetto al 2020, -23,5 rispetto al 2019).

MERCATO DEL LAVORO – Il tasso di occupazione a Piacenza nel 2021 è pari al 68%, praticamente uguale a quello dell’Emilia-Romagna, maggiore di quello nazionale (58,2%). Il tasso di disoccupazione a Piacenza è pari al 6,1%, contro il 5,5% dell’Emilia-Romagna e il 9,5% italiano. Non sono particolarmente rilevanti le differenze rispetto all’anno precedente: c’è qualche occupato in meno e qualche disoccupato in più, ma i numeri sono bassi. Da notare è che queste variazioni, sebbene minime, sono in controtendenza rispetto all’andamento regionale e nazionale.

ADDETTI ALLE UNITÀ LOCALI – Sono coloro i quali lavorano sul territorio della provincia di Piacenza. Si tiene conto dei non residenti in provincia che lavorano in provincia, si escludono i piacentini che lavorano fuori dalla provincia.
Il settore più in crescita è quello dei servizi alle imprese, vigilanza e pulizie (+21,2%), quello più in difficoltà risulta quello dei servizi finanziari e assicurativi (-9,6%).

ADDETTI ALLE UNITÀ LOCALI PER ZONE DELLA PROVINCIA – Il 43,2% degli occupati della provincia lavora a Piacenza (46.367 lavoratori), con un aumento dell’1,1% rispetto al 2020. L’area che registra la maggiore crescita è quella della Val Tidone (+6,8%), che comprende i comuni di Borgonovo Val Tidone, Caminata, Castel San Giovanni, Nibbiano, Pecorara, Pianello Val Tidone, Ziano Piacentino e Alta Val Tidone e conta 12.537 occupati. A motivare l’impennata sono sicuramente la logistica di Castel San Giovanni e l’impresa di raccorderia Allied International di Nibbiano. L’area più in difficoltà all’interno della provincia come numero di occupati è quella della Val Nure e Val Chero, dunque i comuni di Carpaneto Piacentino, Gropparello, Podenzano, San Giorgio Piacentino e Vigolzone, con 9.326 occupati, 138 in meno rispetto all’anno precedente, con una variazione negativa dell’1,5%. Positivo il bilancio per Bassa Val d’Arda e Fiume Po, Via Emilia Piacentina, Bassa Val Trebbia e Val Luretta; lievemente negativo per Alta Val d’Arda, Alta Val Nure, Val Trebbia e Val Luretta, con ribassi che non superano lo 0,7%.

LAVORO DIPENDENTE – Nel 2021 a Piacenza e provincia sono stati registrati 7.893 nuovi contratti a tempo indeterminato e 49.867 fra tempo determinato, apprendistato e lavoro somministrato. Sono cessati 11.041 contratti a tempo indeterminato e 44.535 a tempo determinato, apprendistato e lavoro somministrato. Il saldo attivazioni/cessazioni è in positivo di 2.184 contratti.

CASSA INTEGRAZIONE – Il 2020 ha fatto registrare un’impennata assolutamente anormale rispetto all’andamento degli ultimi undici anni. Nell’anno clou della pandemia la cassa integrazione, misurata in termini di ore, è arrivata al massimo storico di quasi 15 milioni, contro le “sole” 740 mila del 2019. Nel 2021 si sono abbassate del 53,5% con un valore orario pari a circa 7 milioni, un valore assoluto comunque molto alto se confrontato con il decennio passato. Solo nel 2010 era andata peggio, con quasi 8 milioni di ore di cassa integrazione. Le deroghe hanno fatto salire il dato, concedendo in via straordinaria la cassa integrazione a settori in cui solitamente la misura non è prevista. Il settore alberghiero e della ristorazione ha fatto conteggiare 800 mila ore di cassa integrazione in deroga e zero di cassa ordinaria e straordinaria. La cassa integrazione straordinaria si verifica in caso di crisi aziendale.

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