“Le lotte operaie non si processano”. Da tutta Italia alla manifestazione in città fotogallery

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“Le lotte operaie non si processano”. E’ lo striscione che ha aperto il corteo organizzato a Piacenza dai sindacati di base – partito poco prima delle 15 di sabato – per chiedere la liberazione degli esponenti dei sindacati Si Cobas e Usb finiti agli arresti domiciliari.

Oltre 1,500, secondo le prime stime, le persone giunte a Piacenza da ogni parte d’Italia, ma anche dall’estero; tante le bandiere e gli striscioni, insieme alle immagini dei sindacalisti arrestati con la richiesta “Liberi subito”. Imponente il servizio di ordine pubblico. “Siamo qua non per piangerci addosso – le parole pronunciate al megafono -, ma per dire che i castelli di sabbia si costruiscono in spiaggia e non sulla pelle dei lavoratori. E’ in atto un tentativo di criminalizzare le lotte di lavoratrici e lavoratori che per anni sono stati sfruttati”.

Partito dai Giardini Margherita, il corteo è proseguito lungo via Dei Mille, via La Primogenita, piazzale Roma, via Colombo, via Trieste, via Manzoni, via Farnesiana, piazzale Veleia e piazzale Libertà, ritornando al punto di ritrovo iniziale, dove si sono tenuti gli ultimi interventi prima della chiusura della manifestazione

Rifondazione: “No alla criminalizzazione delle lotte” – Anche Rifondazione Comunista ha annunciato la sua presenza alla manifestazione, ribadendo la propria “solidarietà ai lavoratori sindacalisti colpiti dalla brutale repressione in atto”: “L’iniziativa giudiziaria, sostenuta da un incredibile castello accusatorio – affermano – è in realtà un vero e proprio teorema sulla base del quale le lotte per ottenere salari e diritti umani diventano, in una grottesca inversione delle parti, attività estorsive ai danni dei padroni. I fatti criminosi imputati infatti sarebbero i picchetti,  gli scioperi, le occupazioni e  e assemblee degli ultimi 10 anni, in pratica tutte le lotte fatte per portare la legalità e la dignità del lavoro in un settore in cui supersfruttamento, salari da fame, precarietà e caporalato delle finte cooperative erano la norma”.

“Un’evidente opera di criminalizzazione delle lotte – proseguono -, una intimidazione in difesa della libertà di sfruttamento in un settore fondamentale per il moderno capitalismo delle piattaforme, un banco di prova e una minaccia dell’establishment di governo contro scioperi e lotte dell’autunno in difesa di salari, pensioni e redditi dei ceti popolari di fronte alla crescita del carovita e della devastazione sociale  prodotti dall’economia di guerra, dall’inflazione e dai tagli alla spesa sociale conseguente al ritorno dell’austerità”.

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