A fine ‘800 il grande restauro della Cattedrale “L’abilità degli operai ha ingannato gli studiosi”

Si è aperto martedì 20 settembre il convegno internazionale “La Cattedrale di Piacenza e la civiltà medievale” presso il Seminario vescovile di via Scalabrini. Numerose le relazioni in programma. A presiedere la mattinata è stato il professor Francesco Gandolfo, dell’Università di Roma Tor Vergata, che ha introdotto gli interventi dei docenti Paolo Golinelli, dell’Università di Verona, Bruno Klein, della Technische Universität Dresden e Arturo Carlo Quintavalle, membro dell’Accademia dei Lincei nonché coordinatore del convegno.

“Il fulcro della questione – dichiara Gandolfo – è il problema che noi storici dell’arte medievale non sappiamo nulla dell’organizzazione del lavoro nel periodo medievale”. Quintavalle compara le scene evangeliche scultoree della facciata della Cattedrale di Piacenza con le Storie della Genesi del duomo di Modena, tutte attribuite a Wiligelmo. La Cattedrale che vediamo ora fu costruita a partire dal 1122, su un progetto dell’architetto Nicholaus, dopo che un violento terremoto causò il crollo della vecchia chiesa di Santa Giustina. Planimetrie alla mano, dov’era la Santa Giustina? Quintavalle è convinto che il vecchio edificio non poteva che essere nel mezzo dell’attuale disegno del duomo. Ma nelle vecchie planimetrie si nota la cinta muraria risalente al IX secolo. “Per costruire la nuova cattedrale – spiega Quintavalle – sono state abbattute le vecchie mura. C’era anche un rivo che girava intorno alla Cattedrale: in quel periodo i piccoli corsi d’acqua interni alle città erano di grande aiuto per l’economia”.

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Arturo Carlo Quintavalle

Al pomeriggio, Marina Righetti, docente dell’Università La Sapienza di Roma, ha presieduto la sala durante gli interventi delle docenti Manuela Gianandrea, Università La Sapienza di Roma, Enrica Neri Lusanna, Università di Perugia, Gigetta Dalli Regoli, Università di Pisa, e infine degli architetti Manuel Ferrari, direttore dell’Ufficio beni culturali ecclesiastici della diocesi di Piacenza-Bobbio, e Barbara Zilocchi, membro del Comitato scientifico diocesano di Parma per gli eventi culturali in occasione di Parma Capitale italiana della cultura 2020/21. Questi ultimi hanno esposto le ultime scoperte sui restauri del duomo di Piacenza.

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Barbara Zilocchi, Manuel Ferrari e Marina Righetti

Dal XII secolo a oggi numerosi restauri sono stati compiuti sulla Cattedrale di Piacenza. Il più importante è sicuramente quello voluto dal vescovo mons. Giovanni Battista Scalabrini alla fine dell’Ottocento, il cui cantiere è stato aperto dal 1897 al 1902 e diretto dall’architetto Camillo Guidotti. “È importante capire tutto l’operato di Guidotti nel cantiere scalabriniano per evitare di essere tratti in inganno dai falsi”. I falsi di cui parla Manuel Ferrari sono sculture e dettagli architettonici che, fino a pochi giorni fa, gli studiosi ritenevano originali del periodo medievale, mentre invece sono frutto del rifacimento di Guidotti. Negli scritti di Camillo Boito – citati da Ferrari – si legge chiaramente l’intenzione dei restauratori di fine Ottocento: “Il monumento doveva essere liberato da errori e rimaneggiamenti”. Dunque, tutto ciò che era successivo al Medioevo venne rimosso e sostituito con copie medievali riprodotte talmente bene da riuscire a ingannare gli studiosi. “I restauri ottocenteschi – dice Ferrari – modificarono sensibilmente la Cattedrale”.

“Un così importante intervento – spiega Barbara Zilocchi – è frutto della collaborazione di più figure. Insieme a Camillo Guidotti hanno lavorato gli architetti Luca Beltrami e Raffaele Faccioli, direttore del neonato Ufficio tecnico regionale per la conservazione dei Monumenti dell’Emilia. Il fine del vescovo Scalabrini era dare lavoro a un cospicuo numero di persone: così ben 150 operai prestarono servizio nei lavori di restauro di fine Ottocento, seguendo peraltro parametri di sicurezza ben lontani da quelli odierni”. Tuttavia, la necessità di un restauro esisteva anche da un punto di vista tecnico. “Dieci anni prima del cantiere Guidotti – prosegue Zilocchi – già si parlava del degrado in cui versavano diverse parti della Cattedrale, in particolar modo l’abside. Dunque, si rese necessario interpellare la Commissione conservatrice dei monumenti di Bologna e poi il Ministero dell’Istruzione. I lavori, nonostante servissero perlopiù per l’abside, si concentrarono sulla facciata, il lato più visibile. Il cantiere sulla facciata era un cantiere-scuola, in cui il progettista e le maestranze (scalpellini, scultori, ecc.) dimostrarono la propria abilità, con delle modalità di restauro innovative. L’abside fu utilizzato come magazzino di oggetti che venivano usati per la replica, che avveniva per analogia o per copia, attraverso i calchi. Ciò che veniva rimosso, com’era consuetudine in quell’epoca, veniva musealizzato. Oggi, nel museo Kronos, si possono vedere le parti post-medievali eliminate dal restauro fine-ottocentesco”. Guidotti non riuscì a realizzare tutti i progetti che aveva in mente, come la copertura per il tugurio, il doppio sistema di archetti e il sistema di scale d’accesso alla cripta.

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Mappatura degli interventi (restauro Guidotti 1897-1901), facciata. Immagine tratta dalla presentazione dell’arch. Barbara Zilocchi al convegno internazionale “La Cattedrale di Piacenza e la civiltà medievale”.

Il convegno proseguirà fino a sabato 24 settembre. SCARICA IL PROGRAMMA

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