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“Con lo ‘ius scholae’ si compie un atto di fiducia nel lavoro della comunità scolastica”

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A trent’anni dalla legge 91, entrata in vigore il 5 febbraio del 1992, gran parte degli schieramenti politici hanno mantenuto un orientamento ostile al conferimento della cittadinanza italiana agli immigrati, quando la realtà sociale, economica e demografica manifestano esigenze completamente diverse. La nostra legislazione al riguardo è una delle più rigide nel contesto europeo, il che rallenta gli scambi nel mondo globale, blocca il mercato del lavoro, che ha un affermato bisogno di lavoratori stranieri, impedisce l’integrazione che a partire dai giovani si appresta a rinnovare la nostra società in forte crisi di natalità e sempre più avanti nell’età.

È ormai evidente che quella in vigore è una legge vecchia, soprattutto nei confronti dei ragazzi nati in Italia e che hanno frequentato le nostre scuole, giungendo in tanti al conseguimento di un titolo di studio. Per molto tempo diverse organizzazioni hanno cercato e cercano di dare voce a persone che condividono storie e percorsi di vita, contribuiscono alla ricchezza di questo Paese con la loro esperienza e formazione, ma in Parlamento si va ancora alla ricerca di una maggioranza che possa approvare le necessarie modifiche e le lungaggini burocratiche rallentano anche l’applicazione delle norme esistenti. Per migliaia di persone l’accesso alla cittadinanza costituisce un percorso ad ostacoli che può durare anni senza nessuna certezza sui tempi di risposta e sull’esito, con ricadute significative sulla vita dei richiedenti, stranieri in casa propria. Una proposta di legge di iniziativa popolare fu presentata nel 2012, un’altra nel 2015, approvata alla Camera, ma che per motivi di tattica politica non fu mai discussa al Senato e la partenza del nuovo governo non fa presagire nulla di buono.

La determinazione a diventare cittadini italiani non viene meno, soprattutto alle seconde generazioni, che devono attendere la soglia del diciottesimo anno di età per farne richiesta. Per cercare di abbreviare il periodo di attesa si è introdotta una nuova condizione denominata “ius scholae”, che si riferisce a chi, nato o arrivato, abbia frequentato regolarmente un percorso formativo per almeno cinque anni in un istituto appartenente al sistema nazionale di istruzione o formazione professionale. I comuni – si legge nella proposta – in collaborazione con gli istituti scolastici dovranno promuovere iniziative di conoscenza dei diritti e doveri legati alla cittadinanza, al fine di favorire l’acquisizione di consapevolezza da parte dei nuovi cittadini. Allo Stato di garantire l’offerta formativa anche per la conoscenza della lingua italiana e della Costituzione.

Nella XVII legislatura sullo ius scholae sono venute pronunce favorevoli sia da sinistra che da destra, ma la ricerca di un’ampia maggioranza politica, trattandosi di regole legate alla convivenza sociale e civile, ha fatto arenare tutto il percorso di approvazione. Questa impostazione ha convinto il tanto temuto giudizio popolare; il 67% degli italiani infatti si è dichiarato favorevole (Diamanti su Repubblica), un po’ di tutte le età e le aree del Paese. Integrare la cittadinanza attraverso l’educazione e la cultura è arricchire il territorio; senza i figli degli immigrati anche il nostro sistema scolastico è sull’orlo di un burrone demografico, la presenza di queste famiglie, con anche i profughi dell’Ucraina, potrebbe far rivivere centri abitati quasi del tutto spopolati ed evitare la chiusura di tante piccole scuole che presentano i caratteri di maggiore salubrità, come abbiamo imparato dalla recente emergenza pandemica. Pensare ad alunni considerati ancora stranieri quando nelle aule insieme agli italiani imparano a costruire una comunità che qualifica lo stesso sistema formativo, alimentando la sua caratteristica internazionale, dimostra ancora di più quanto siano cambiate le situazioni che richiederebbero il pieno esercizio della cittadinanza, ma che invece condiziona ancora negativamente la loro vita dall’assenza di una legge considerata ormai di civiltà.

Con lo “ius scholae” si compie un atto di fiducia nel lavoro della comunità scolastica, che ha operato in tutti questi anni per favorire una vera parità di diritti a chi si trova in un contesto dove già si agisce in termini di parità sul piano delle relazioni sociali e dove proprio questa diversità sta alla base di un progetto educativo che va a beneficio anche degli italiani e può far crescere la dimensione interlinguistica e interculturale. Le strumentalizzazioni politiche e le distorsioni mediatiche spesso hanno contribuito ad alzare il tono della propaganda, mentre nelle aule, nelle quali sempre più elevata è la presenza di alunni ancora considerati stranieri, senza clamori, sono state adottate quelle iniziative che hanno favorito una reale integrazione, ma soprattutto un miglioramento delle condizioni di apprendimento per tutti, e le famiglie hanno iniziato a rendersene conto.

Alcuni comuni hanno iniziato a conferire diritti “onorari” di cittadinanza attraverso i loro statuti, oltre a prevedere un consigliere “aggiunto” nelle loro assemblee civiche. E intanto che Roma continua a discutere si può partire dai territori, forse è l’unico modo perché diverse sensibilità politiche si rendano conto dell’importanza di tale riconoscimento per poter partecipare all’esercizio di quei diritti fondamentali per la vita delle persone, che sono noti a livello di città e sfuggono a chi è troppo impegnato in operazioni di visibilità e convenienza politica. E’ un modo per sollecitare il Parlamento e il nuovo governo a soddisfare le esigenze dei territori ed a rispettare le autonomie locali di cui si dice di nutrire tanta considerazione .

Il fenomeno migratorio nel nostro Paese si è evoluto molto rapidamente per quanto riguarda soprattutto le esigenze economiche e lavorative, la norma in vigore dunque non rispecchia più la società italiana e l’attività delle scuole ha contribuito ad accelerare ed integrare i processi di costruzione delle comunità locale e nazionale. La cittadinanza ne è il degno coronamento ed è ormai maturo il tempo del suo consolidamento.

Gian Carlo Sacchi

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