“I piccoli maestri”, tra storia e antologia della Resistenza italiana foto

“Ciò che mi premeva era di dare un resoconto veritiero dei casi miei e dei miei compagni negli anni dal ’43 al ’45. Veritiero non all’incirca e all’ingrosso, ma strettamente e nei dettagli […]. Come per ciò che ho scritto sul mio Paese, non prendevo nemmeno in considerazione la possibilità di adoperare altra materia che la verità stessa delle cose, i fatti reali della nostra guerra civile così come li avevo visti io dal loro interno”. Lo scrive Luigi Meneghello, esponente di spicco della Resistenza italiana, nella Nota introduttiva all’edizione del 1976 del suo “I piccoli maestri”: continuazione ideale del precedente “Libera nos a malo”, capolavoro dell’autore. A citare le parole di Meneghello è Gianni D’Amo, presidente di Cittàcomune che, insieme a Maura Bruno dell’associazione politico – culturale, lo scorso mercoledì 9 novembre alla Serra di Palazzo Ghizzoni Nasalli di via Gregorio X ha dato così il via al secondo degli appuntamenti dedicati allo scrittore vicentino per il centenario della sua nascita.

Dopo la proiezione lo scorso 3 novembre di “Ritratti. Luigi Meneghello”, documentario di Paolo Mazzacurati e Marco Paolini che sotto forma di video-intervista allo scrittore ha raccontato il nostro Paese e il significato del fascismo per i nati ai tempi della marcia su Roma, stavolta D’Amo ha dato quindi vita a quello che lui stesso ha definito: un “incontro tra Storia e antologia de ‘I piccoli maestri’, uno fra i libri più importanti e nutrienti della Resistenza italiana”. “Un viaggio tra fatti accaduti e ‘vissuti dall’interno’ – ha sottolineato il presidente di Cittàcomune -, che evidenzia fin dalle considerazioni iniziali di Meneghello come all’autore interessi il periodo resistenziale non solo in quanto oggetto di indagine, ma anche e sopratutto dal punto di vista di ciò che ha rappresentato per i soggetti protagonisti, e in primo luogo per lui stesso”.

“E qui – continua lasciandosi catturare dalla ricchezza stilistica, linguistica ed etica del testo e dello scrittore – si pone subito la questione della pluralità dell’Io narrante, con una prima persona che ricorda sé stessa e le emozioni vissute, ma anche gli accadimenti e gli altri protagonisti della vicenda. Risultato? Spesso nella stessa pagina troviamo diversi Io a portare avanti la narrazione, la cui alternanza è testimoniata stilisticamente dal cambio dei tempi verbali. Per questa sorta di ‘flusso di coscienza’, che peraltro in Meneghello convive in modo singolare con un ricco plurilinguismo (dalle citazioni di Leopardi, Machiavelli e Dante, al dialetto più stretto e spontaneo) e con il forte interesse per il recupero della dimensione popolare della Storia italiana e della Resistenza, lo scrittore può in qualche modo ricordare Proust e l’altopiano d’Asiago, da cui parte la storia in un lungo flashback a ritroso, potrebbe dirsi la sua madeleine”. “Cercavo i mezzi stilistici per tenere a bada la commozione – scrive ancora Meneghello a proposito de ‘I piccoli maestri'”. “Un obiettivo – ha spiegato il relatore – che lo scrittore riesce ad ottenere egregiamente, usando ironia ed autoironia per frenare commozione, indignazione, vergogna per il ritorno di alcuni a fronte della fine di altri”.

Poi qualche cenno alle vicende, alla storia. Undici capitoli, dai ricordi dell’autore che prendono vita sull’altopiano di Asiago a inizio estate del ’45, fino a tornare, dopo le rievocazione della guerra civile e delle vicende biografiche e resistenziali di Meneghello e dei suoi compagni, alla Liberazione di Padova nell’aprile del ’45; in una sorta di circolarità della memoria. In mezzo quindi la storia e le storie dell’autore e dei compagni: giovani, idealisti e inesperti studenti universitari (‘I piccoli maestri’) o allievi militari, più abili nell’uso delle parole che delle armi, che dopo l’8 settembre decidono di darsi alla macchia guidati da un giovane professore antifascista; prima sui monti del bellunese e poi sull’altopiano di Asiago, unendosi alle formazioni partigiane. Un apprendistato di vita in giorni di guerra e precarietà, fino al graduale ritorno verso Padova per la Liberazione.

Attraverso il formidabile gioco di contrasti di cui questo libro è disseminato, primo fra tutti quello apparentemente inconciliabile tra intellettuali e classe popolare, D’Amo riesce quindi a condurci per mano tra le pagine dell’autore con la sua indomabile passione di lettore e cantastorie. “Perché – dice – è proprio tramite il contrasto che l’ironia si fa capace di produrre il suo effetto euristico e conoscitivo”. L’incontro dello scrittore con Castagna, capo partigiano, è emblematico in questa direzione: il termine “ethos”, caro agli studenti per disquisire sulle motivazioni di adesione alla lotta armata antifascista, è sconosciuto nel dialetto popolare. Eppure, scrive l’autore “si vedeva che [loro] sapevano fare le cose prima e meglio di noi”, che per loro “le cose venivamo prima delle idee”; doveva quindi essere questa “la cultura popolare”. Fin da questi concetti si evince allora il contributo pratico e sostanziale dato dalle classi popolari alla Resistenza, in un processo di saldatura con gli intellettuali che proprio il periodo resistenziale e l’obiettivo comune di una rigenerazione dal germe nazi-fascista avevano reso possibile.

Poi il poetico rapporto di compenetrazione con la natura sull’altopiano di Asiago, dove il paesaggio gradualmente smette di apparire ‘difforme’ e diventa ‘forma della coscienza’, sinonimo della più autentica e desiderata libertà. Ancora, nel disegno di contrasti e alleanze che la lotta di Liberazione ha rappresentato, trovano spazio le differenze fra formazioni partigiane, o l’intenso legame tra partigiani e contadini. “Proprietari di miseria – ha detto il presidente di Cittàcomune a proposito dei secondi citando Nuto Revelli – che si tolgono il pane di bocca pur di sfamare e aiutare a sopravvivere quelle che orgogliosamente considerano ‘le loro forze armate’. In un libro che ha dunque il pregio come pochi altri di mostrare la dimensione corale della Resistenza, tanto in montagna quanto in città – ha sottolineato D’Amo -, la guerra e la morte restano in qualche modo sullo sfondo, drammaticamente presenti da lontano”.

Pochissimi, infatti, nel libro i nazi-fascisti, trentaquattro almeno i partigiani morti, ma nessuna descrizione di uccisione da parte tedesca o fascista: i pochi, unici omicidi narrati sono invece per opera partigiana, in linea con il passo anti-eroico e anti-retorico scelto dall’autore nella narrazione. Con leggerezza ed emozione, nel suo viaggio d’omaggio a “I Piccoli maestri” il presidente di Cittàcomune è riuscito a restituirci l’odore etico e letterario di un libro capace di dare forma artistica al maggiore contributo della Resistenza italiana: l’incontro fecondo tra classi subalterne e intellettuali.

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