Ragion di stato e legge morale si scontrano nell’Antigone, la ‘lezione’ di Laura Pepe sulla giustizia

“Se mi fosse morto un figlio o un marito non avrei mai fatto ciò che ho fatto. Avrei fatto un altro figlio o mi sarei sposata un’altra volta. Polinice era mio fratello, genitori non ne ho più, fratelli non posso più averne”. Antigone è complessa, in bilico fra la legge isonomica, ferrea e senza deroghe, del tiranno Creonte e la propria, forse più umana, ma aristocratica, “autonoma” in senso greco. Sofocle ci restituisce due giustizie diverse che si oppongono per spingerci maieuticamente a riflettere e ad accorgerci che quello della giustizia è un concetto fragile, personale, plurale. Da un lato abbiamo l’isonomìa, la legge dello Stato che è uguale per tutti, dall’altro l’autonomìa di un personaggio che risponde solo a sé stesso. Antigone è l’emblema del dissenso fondato sull’imperativo morale, la personificazione del “giusto” secondo natura. Tuttavia, il suo è un atto di eversione, il comportamento di una snob per cui contano solo i propri legami di sangue.

Di “Antigone e la giustizia” ha parlato Laura Pepe il 25 maggio nella prima delle cinque “Lezioni di storia” promosse dall’Editore Laterza a Piacenza. Le altre si svolgeranno dal 22 al 24 settembre nel corso del Festival del Pensare Contemporaneo, presentato al pubblico con un evento all’auditorium Xnl.

Laura Pepe Antigone

LA VICENDA – Cos’ha fatto Antigone? Ripercorriamo brevemente la sua storia (ben sintetizzata nel commento alla versione di Marco Baliani andata in scena il 21 luglio al Festival di Teatro Antico di Veleia). Il re Edipo, padre di Eteocle, Polinice, Antigone e Ismene, nati dalla relazione incestuosa con la madre Giocasta, viene allontanato da Tebe. Per la sua successione si apre una disputa tra i figli Eteocle e Polinice, fino all’accordo secondo cui i due fratelli governeranno entrambi, alternandosi. Ma Eteocle, scaduto il suo primo mandato, si rifiuta di cedere il trono a Polinice, che fugge da Tebe e arriva ad Argo. A prendere il potere è Creonte, fratello di Giocasta e zio di Antigone, Ismene, Polinice ed Eteocle. Presto gli argivi attaccano Tebe, e con loro c’è anche Polinice, che in battaglia – secondo la profezia malefica del padre Edipo – si scontra con suo fratello Eteocle. Moriranno entrambi, ognuno per mano dell’altro. Al cadavere del figlio fedifrago di Tebe il tiranno Creonte ordina un destino orribile: resterà insepolto, pasto per le bestie. Suo fratello Eteocle, invece, meriterà tutti gli onori funebri. Antigone non ci sta e, di nascosto, copre il cadavere del fratello Polinice, trasgredendo la legge. Per questo viene condannata a morte.

IL BENE E IL MALE – “I classici ci aiutano a pensare – ha detto Laura Pepe -, in questo caso Sofocle ci spinge a riflettere sulla complessità che Antigone ci propone. Le ‘antigoni’ contemporanee propongono di portare in vita un modello che in realtà non sapeva nulla di pacifismo, femminismo e diritti umani. Antigone dichiara di essere ‘nata non per condividere l’odio ma l’amore’, ma i fatti la contraddicono: lei odia la patria, odia sua sorella Ismene – che si è rifiutata di essere sua complice – e odia anche suo fratello Eteocle, che ha ucciso Polinice e a cui è spettata una sepoltura dignitosa. L’unica persona che Antigone ama è il ‘traditore’ Polinice”. Ha ragione Creonte, che da buon sovrano applica equamente la legge in difesa di una “ragion di stato” ante litteram, o ha ragione Antigone, che si oppone a quella legge, reputata “ingiusta” da lei e dalla morale umana? Sofocle non dà la soluzione, perché la tragedia è come il taijitu, il cerchio in cui lo yin (nero, il male) e lo yang (bianco, il bene) non sono separati da una linea netta ma ognuno contiene un po’ dell’altro. “La tragedia – ha ricordato Laura Pepe – è conflitto e complessità, non spiega nulla. Per Sofocle sarebbe stato più facile raccontare un’Antigone completamente buona e un Creonte totalmente malvagio. Ma non è così, perché la giustizia è complessa. Dalla vicenda possiamo capire che amministrare il potere è un esercizio molto complesso”.

Alla fine entra in scena un altro personaggio, e con lui un’altra disputa fra un’altra versione di amore e la stessa ragion di stato. È Emone che, innamorato di Antigone, cerca di persuadere il padre Creonte a risparmiarla. Ma quest’ultimo è ferreo, abbandona quella democrazia che l’ha apparentemente caratterizzato fino a questo momento e si chiude le orecchie, in segno di dissenso. “Tu sei schiavo di una donna, perché vuoi morire per lei? Come può uno ‘sbarbato’ come te insegnarmi qualcosa?”, dice. E suo figlio, andandosene, gli dice che non lo vedrà mai più vivo. Emone è la terza vittima della ragion di stato di Creonte, dopo Polinice e Antigone, anche la sua è una vita sacrificabile in nome della giustizia.

Laura Pepe Antigone

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di PiacenzaSera, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.