Da Piacenza a La Mecca, il pellegrinaggio è “una lezione di pazienza e speranza”

“Sono partito carico di richieste e lì ho sentito emozioni che non si possono descrivere a parole. Ora torno con la speranza nel cuore”. Yassine Baradai è rientrato a Piacenza da poco dall’Arabia Saudita, dove ha ottemperato al quinto pilastro dell’Islam: dopo fede, preghiera, elemosina e digiuno, quello dell’hajj, il pellegrinaggio alla Sacra Moschea di La Mecca che ogni buon musulmano dovrebbe compiere almeno una volta nella vita. In nove giorni ha percorso circa 160 chilometri con ai piedi solo un paio di sandali, affrontando temperature proibitive fino a 49 gradi. Insieme a lui il gruppo di quattro fedeli partito dalla nostra città, che si è immerso nella marea di oltre due milioni e mezzo di pellegrini giunti da tutto il pianeta, di centinaia di nazionalità diverse, uniti dalla fede.

Yassine Baradai La Mecca

Il pellegrinaggio è una lezione di pazienza – spiega Yassine Baradai – di condivisione, diligenza, abbandono e riconoscenza. Senti di essere parte di un cosmo vivo e che si muove in obbedienza al suo creatore”. Baradai, segretario nazionale dell’Ucoii (Unione delle comunità islamiche d’Italia) e già direttore della Comunità Islamica di Piacenza ha fatto da “guida spirituale” del suo gruppo di 126 musulmani italiani: “La guida ha il compito di accompagnare i pellegrini attraverso tutti i riti e le tappe del percorso sacro, per me è stato un grande onore e non vedo l’ora di rifarlo, anche in occasione dei pellegrinaggi più piccoli che si possono svolgere tutto l’anno”.

Il ḥajj, il pellegrinaggio rituale con tutti i crismi islamici, va invece obbligatoriamente compiuto nel mese di Dhū l-Ḥijja, ultimo mese dell’anno islamico, sulla base del calendario lunare, lo stesso che indica le date del mese sacro del Ramadan, in un intervallo di date prefissato: quest’anno era dal 26 giugno al primo luglio. In tutti gli altri mesi dell’anno il pellegrinaggio è invece chiamato ʿumra, e viene considerato “minore”, si può tenere anche in un solo giorno con passaggi liturgici più semplici. Anche se il pellegrinaggio a La Mecca è uno dei cinque pilastri della fede e va svolto almeno una volta nella vita, tuttavia la legge islamica non è rigida, infatti possono essere esentati dall’obbligo tutti coloro che abbiano impedimenti fisici o non abbiano le possibilità economiche di affrontare il viaggio.

hajj a La Mecca

Particolare è l’abbigliamento del pellegrino formato da pezze di stoffa non cucite di color bianco, una per cingersi i fianchi (chiamata izar) e l’altra per coprire il tronco e la spalla sinistra. La ricompensa per aver assolto all’obbligo del ḥajj è molto grande per il fedele musulmano: la cancellazione di tutti i peccati compiuti in passato nei confronti di Allah, non quelli nei confronti delle persone. “Siamo partiti in aereo da Venezia – spiega Baradai – e dopo cinque ore di volo siamo atterrati a Gedda: considera che nel periodo destinato al pellegrinaggio rituale c’è allestita una macchina organizzativa imponente, in grado di ospitare oltre due milioni di persone da tutto il mondo. Ci sono diverse società di tour operating specializzate che organizzano i trasferimenti da tutto il globo, noi dall’Italia eravamo inseriti nel gruppo Europa e Turchia”. Da Gedda le persone vengono poi spostate negli sterminati campi di tende a Mina, dove sono insediate le strutture ricettive e i pellegrini trascorrono la notte. Tra i compagni incontrati nel cammino anche diversi personaggi illustri, come il giocatore del Liverpool e della nazionale francese Ibrahim Konatè.

Konatè La Mecca

A destra Konatè

Yassine Baradai La Mecca

“Un’infinità di persone provenienti dai luoghi più remoti e impensabili del mondo – continua Baradai – che si ritrovano in poco spazio, che camminano insieme sotto il sole del deserto e che, con un’unica alta voce, cantano “labbayka Allahumma labbayk, labbayka la sharika laka labbayk […]”, che tradotto suonerebbe come “eccomi a Te oh Allah eccomi, eccomi a Te senza associarti nessuno, la lode e la grazia appartengono a te solo assieme al regno, senza nessun socio”. “In un giorno solo mi è capitato di coprire 37 chilometri a piedi – spiega – ma quello che è impressionante è la disciplina, l’ordine, nonostante la fatica, che viene mantenuto da tutti. In una situazione del genere, dove occorre compiere un percorso rituale collettivo, ci sono attese lunghissime, anche solo per accedere ai servizi o farsi una doccia, eppure da parte di tutti c’è comprensione e sopportazione, come sarebbe bello se la vita di ogni giorno fosse così?”

Il cammino del pellegrino non è lineare ma segue alcuni itinerari definiti, di fatto si ripercorrono i passi condotti da Abramo e dal figlio Ismaele che nel ricordo della moglie e madre Agar hanno compiuto per costruire la casa di Dio. E il pellegrinaggio è accompagnato di diversi momenti di preghiera. “E’ un emozione indescrivibile quella che abbiamo vissuto – sottolinea Baradai – forte e universale, un cammino comune dove non c’è ricco e non c’è povero, non ci sono differenze sociali o di provenienza tra i fedeli, un cammino di purezza dove uomini e donne sono sullo stesso piano. Durante l’hajj infatti le donne non si devono coprire il volto e la preghiera si può svolgere insieme, il primo giorno ho pregato con a fianco a me una donna”. “Ma la cosa che mi ha colpito di più – conclude Baradai – è stata la presenza di tanti giovani, un segnale importante grazie anche alle agevolazioni per aiutarli a compiere un viaggio che li segnerà per l’intera esistenza”.

Yassine Baradai La Mecca

Nelle foto, la partenza da Venezia in ihram (stato di sacralità) e l’arrivo durante la giornata del hajj al akbar alle tende di Mina dopo aver percorso in un giorno 37 km.

hajj a La Mecca

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