Lo storico Greppi: “Parlare di Resistenza vuol dire raccontare la storia delle persone”

“Restituire profondità alla storia delle persone, alle loro vite, alle loro scelte”. Parlare di Resistenza significa questo per lo scrittore e storico torinese Carlo Greppi. Ma per farlo bisogna saper raccontare, coinvolgere oggi soprattutto i giovani lettori nei conflitti e nelle passioni di loro coetanei, che durante la Resistenza non hanno esitato a mettersi in gioco insieme agli adulti per fronteggiare insieme il nemico comune. Mercoledì 7 febbraio Greppi incontra gli studenti nell’ambito del primo appuntamento di “conCittadini-Rete Piacenza”: il progetto di cittadinanza attiva rivolto alle scuole promosso dall’Assemblea legislativa e coordinato, a livello territoriale, dalla Provincia di Piacenza. L’evento, intitolato “Storie di Resistenza: pirati, muratori e persone comuni”, si terrà alle ore 11.30 nell’Aula Magna “G. Modonesi” di via IV Novembre a Piacenza, e sarà introdotto e moderato da Claudia Ferrari, consigliera provinciale con delega alle Politiche giovanili e alle Pari Opportunità. Abbiamo fatto qualche domanda allo scrittore per parlare dell’attualità della Resistenza e naturalmente dei libri dell’autore: gli ultimi, “I pirati delle montagne” (2023, edito da Rizzoli) e “Un uomo di poche parole. Storia di Lorenzo che salvò Primo” (2023, edito da Laterza).

Perché oggi è importante parlare di Resistenza, soprattutto alle nuove generazioni?
La Resistenza e la sua storia ci insegnano la radicalità, ci insegnano come una generazione in particolare, quella dei giovani dell’epoca, ma guidata dai ‘vecchi’ ha saputo “imparare a disobbedire”, per usare un’espressione dello storico Claudio Pavone, e rifare l’Italia, l’Europa e il mondo da capo. La loro è stata sicuramente una vittoria a metà, perché gli strascichi del passato sono sempre difficili da cancellare: resta però un esempio di rara nitidezza della storia recente.

Qual è il modo migliore di raccontarla a ottant’anni di distanza, senza scadere nella retorica e scongiurando l’indifferenza?
Credo molto nell’importanza della storia delle persone. Penso che attraverso parabole biografiche si possa restituire la tridimensionalità, lo spessore e la complessità di quelle che sono state vite reali di persone altrettanto reali. Uomini e donne che, pur con tutti i limiti figli del loro tempo, hanno capito che era un momento nel quale bisognava mettere da parte le differenze per una battaglia di civiltà contro il comune nemico: i fascismi dell’Europa precipitata nella tirannia e nella Guerra Mondiale. La mancanza di testimoni fa accrescere il senso di responsabilità di chi è arrivato dopo, ma penso che il piano su cui si possa e si debba giocare questa battaglia della memoria pubblica sia legato alla narrazione, al racconto, alla capacità di trascinare chi legge e chi ascolta in quel così tempo difficile, ma anche così esaltante.

Nel suo romanzo “I pirati delle montagne” (2023, edito da Rizzoli) il punto di vista è di un ragazzino che si forma tra persone più grandi di lui. Ma chi sono “I pirati” e come mai ha usato questa immagine?
Sono gli stessi protagonisti del romanzo a sentirsi dei pirati imbevuti come sono di immaginario romantico che, come gli studi storici ci hanno insegnato, ha delle notevoli fondamenta. Nella pirateria atlantica viaggiavano anche parole ed esperienze di libertà del tutto innovative per l’epoca e un egualitarismo immaginabile nella maggior parte di tutti gli altri contesti dell’età moderna. Questi pirati sono dei ragazzi ventenni e hanno come mozzo Giorgio, protagonista del libro, più giovane di loro. Insieme riescono ad alimentare una piccola grande comunità di persone provenienti da ogni angolo del mondo, che ha come comune obiettivo quello di trovare la personale via verso la libertà. Una strada che ancora i ragazzi non conoscono bene, ma che in qualche modo muove le loro scelte e fa crescere tutti quanti, non solo Giorgio.

“Un uomo di poche parole. Storia di Lorenzo che salvò Primo” (2023, edito da Laterza) è una delle tante storie di cui è fatta la Storia che racconta. Che posto ha la soggettività umana di Lorenzo nella narrazione storica dei fatti? E rispetto al rapporto con il lettore?
Non è stato facile duellare con l’oblio. Una persona come Lorenzo, muratore povero con la terza elementare che si trova a lavorare fuori dal reticolato di Auschwitz III-Monowitz, lascia fisiologicamente poche tracce del suo passaggio in questo mondo. Costruire la biografia di un personaggio taciturno, irrequieto e quasi analfabeta, che però con i suoi gesti quotidiani ha aiutato Primo Levi a sopravvivere al lager, sembrava impossibile. Ma dal lavoro di ricerca è progressivamente emersa la soggettività umana di Lorenzo Perrone, attraverso le testimonianze di Levi, i biografi dello scrittore, gli archivisti, i famigliari e le stesse parole del muratore. Dice Primo Levi a proposito di Lorenzo Perrone: “E io gli ho detto: ‘guarda che rischi a parlare con me’. E lui ha detto: ‘non me ne importa niente’. Ecco, credo che già queste poche parole di un uomo buono, giusto e dolce non abbiano bisogno di particolari mediazioni nei confronti del lettore. La sua personalità si staglia nitida nei ricordi dello scrittore sopravvissuto senza bisogno di commenti: “io credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza, con il suo modo così piano e facile di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro, qualcosa o qualcuno di ancora puro e intero….”. (da “Se questo è un uomo”).

Parla spesso di “internazionalismo” della Resistenza: pensa sia un aspetto chiave per analizzare questo periodo storico senza ambiguità?
Quello dell’internazionalismo della Resistenza è un aspetto totalmente trascurato dagli studi, e di conseguenza anche dal senso comune. Per tre quarti di secolo non ci si è accorti di quanto questa dimensione fosse presente in maniera capillare nella Resistenza italiana e in generale nelle Resistenze europee. Stimiamo in almeno 15-20mila i combattenti stranieri della Resistenza italiana, e si tratta di un dato storico. Ha però anche un grande portato civile, perché mostrare come quella lotta sia stata assolutamente incurante dei confini e del luogo in cui la sorte ci ha fatto nascere rafforza indubbiamente il suo significato etico e politico. ‘I pirati delle montagne’ si ispira a questo nuovo filone di studi ed è in uscita tra qualche mese la ‘Storia internazionale della Resistenza italiana’, edita da Laterza e curata da me insieme a Chiara Colombini. Ci auguriamo possa contribuire ulteriormente ad ampliare lo sguardo sulla lotta partigiana.

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