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“Rischio oligopolio” per il sistema bancario. Intervista a Gobbi (Banca di Piacenza) foto

Nuovo appuntamento con le "Pillole di Economia", la rubrica curata da Mauro Peveri su PiacenzaSera.it Nuovo capitolo sul tema banche, con una lunga e articolata intervista a Luciano Gobbi, presidente della Banca di Piacenza

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Appuntamento con le “Pillole di Economia”, la rubrica curata da Mauro Peveri su PiacenzaSera.it  Nuovo capitolo sul tema banche, con una lunga e articolata intervista a Luciano Gobbi, presidente della Banca di Piacenza, incontrato nel suo studio insieme al direttore generale Giuseppe Nenna.

L’intervista completa è disponibile sotto, anche in versione VIDEO con gli estratti più significativi.

Il settore bancario è nell’occhio del ciclone da diverse settimane e comprendere quello che sta accadendo, con le conseguenze per i risparmiatori, è spesso arduo. Con il presidente Gobbi affrontiamo diversi temi partendo dalla più stringente attualità, con il default delle quattro banche locali, per guardare al nostro territorio e alle prospettive dell’istituto di via Mazzini. 
 
Ing. Gobbi, dopo la vicenda del fallimento delle quattro banche locali (Banca Etruria, Carife, Cr di Chieti, Banca Marche) ritiene che in Italia alcuni gruppi d’interesse abbiano scatenato un’offensiva, soprattutto mediatica, per gettare discredito sulle Banche territoriali? Se è così, cosa devono fare le Banche locali per rispondere a questo attacco? 

A livello locale le singole banche, come la nostra, devono migliorare la comunicazione con i propri soci e clienti per tranquillizzarli e far capire che si tratta di Istituti solidi e gestiti in modo corretto e trasparente. Su scala nazionale, il Presidente di Assopopolari Corrado Sforza Fogliani, che è anche il nostro Presidente d’onore, in occasione di manifestazioni e convegni nazionali nel corso dell’anno, avrà occasione di affrontare alcuni temi cruciali per portare in evidenza il valore aggiunto delle banche di territorio, quelle sane e gestite da gente perbene.

Concordo che in questo periodo sembra che ci siano azioni di discredito verso il sistema degli istituti di credito locali. Nel settore bancario sono in atto fenomeni di consolidamento e sembra quasi che l’interesse di alcuni grandi gruppi sia di favorire una situazione di oligopolio; la storia ci dice che anche gli oligopoli più trasparenti e onesti non sono immuni da certe tentazioni.

Il problema delle quattro banche sopra citate, già tutte commissariate da molto tempo, tocca meno dell’1% del sistema bancario italiano, che per il restante 99% è sostanzialmente sano. Purtroppo sembra che siano stati danneggiati più di 10mila risparmiatori. Occorre poi sottolineare che dal primo gennaio siamo entrati nel nuovo regime di regole europee del “Bail in”* (Questa nuova normativa prevede che nel caso di crisi di una o più banche, ove si proceda al salvataggio dell’attività bancaria, sia obbligatorio in primo luogo, azzerare il valore delle azioni possedute dagli azionisti, poi il valore delle obbligazioni subordinate e altre obbligazioni, e – solo se insufficienti questi strumenti – far pagare anche ai correntisti l’eventuale differenza), un’importante novità su cui c’è stata molta disinformazione e poca chiarezza, dato che alla sua applicazione si arriverà solo in casi estremi.

Prendiamo l’indice di solidità degli istituti (Cet 1: Indice di solidità bancaria. È il parametro per valutare la solidità di una banca e rappresenta il rapporto tra il capitale ordinario di un istituto e le sue attività ponderate per il rischio. Più è alto il parametro, più la banca è solida): quando una Banca arriva al limite di questo indice (sotto il limite del 7% indicato dalle regole di Basilea III e che la BCE ha ricalcolato innalzandolo per molte Banche italiane fino al 10,5% e oltre), la Banca d’Italia interviene obbligando l’Istituto, prima di applicare il “Bail in”, ad intraprendere una serie di azioni correttive: aumento di capitale, vendita di parte delle attività della banca, trasferimento di crediti in sofferenza a una società che ne curi la liquidazione. Se tutto questo non dovesse servire, si arriverebbe al “Bail in” vero e proprio che andrebbe a incidere sulle azioni e sulle obbligazioni subordinate.

Soltanto in casi estremi, che francamente non riesco ad immaginare in questo momento, si andrebbero a toccare i depositi oltre i 100mila euro. Ma la situazione presentata da certe testate giornalistiche è stata ben diversa: sembra quasi che i correntisti di ogni Banca vicina al limite dell’indice di solidità corrano il rischio concreto di vedersi intaccare i propri depositi. Non voglio pensare a complotti, ma credo che un’altra cosa importante e urgente da fare sia diffondere una maggiore educazione finanziaria nel Paese, anche tra i giornalisti.
 
Sta passando l’idea che il mondo delle banche locali sia condizionato da una serie di fattori che ostacolano la trasparenza, come il voto capitario. Cosa ne pensa? 

Ho lavorato per 35 anni nel mondo delle società per azioni, sono qui in Banca di Piacenza dal 2010 come Consigliere e dal 2012 come Presidente. Sono socio da quando avevo i pantaloni corti, la mia famiglia è socia e siamo convinti che il modello cooperativo di banca locale “umana”, che non ha dimensioni gigantesche, sia un modello valido. Tutte le norme si possono migliorare, la legge dell’anno scorso ci ha obbligato a cambiare lo statuto portando le deleghe (sistema che consente ad altri soci di raccogliere il voto di chi non partecipa all’assemblea dei soci) da 2 a 10 e abbiamo accolto volentieri questa novità.

Ma credo che il modello di una cooperativa per una banca locale come la nostra resti un valore. Abbiamo deciso anche nel piano strategico di rimanere sotto ai tre miliardi e mezzo di totale attivo di bilancio, oltre ai conti amministrati e ai conti gestiti. Nel mondo bancario possiamo trovare dimensioni aziendali assai diverse: ci sono i colossi mondiali, le banche a livello europeo come Unicredit, e poi ci sono quelle medie e quelle piccole.

La Banca di Piacenza, dal punto di vista dimensionale, è classificata tra le piccole, è un Istituto ben gestito in un territorio prospero come il nostro – dove i fallimenti sono minori della media nazionale, dove l’operosità delle persone è maggiore della media nazionale e dove le operazioni di finanziamento sono più frazionate –  è un modello premiante. Naturalmente dal punto di vista tecnologico ci siamo dotati degli strumenti necessari, di natura statistica e probabilistica per gestire il rischio, ma vogliamo continuare a guardare negli occhi i nostri clienti.

E’ questo che fa la differenza e io ritengo che il modello cooperativo, dove nella compagine sociale il socio con un certo numero di azioni partecipa alla vita della banca, anche nel 2016 – e ancora per molti anni davanti a noi – abbia una sua validità. Del resto il legislatore ha deciso che le banche popolari fino agli 8 miliardi di attivo possono rimanere tali. Per noi i soci e i clienti sono persone e non numeri. Non credo che tutte le banche abbiano la nostra stessa cultura. (segue dopo il video)

 
Dalla vicenda delle quattro banche è emerso un sistema caratterizzato da conflitti di interesse per gli amministratori e nell’opinione pubblica si è creata una grande incertezza, che sta mettendo in crisi il rapporto tra le persone e il mondo del credito. C’è anche una maggiore attenzione agli aspetti tecnici. La vostra banca ha adottato strumenti specifici, c’è un codice di regole che cerca di evitare questi conflitti? 

Concordo con lei che quello che leggiamo sui giornali, a proposito delle quattro Banche sopra citate, rende sgomenti. La magistratura è già al lavoro e accerterà i fatti. Queste Banche erano tutte commissariate da molto tempo, e il compito di ogni commissario è quello di gestire la transizione nella maniera più rapida e migliore possibile. Se non ricordo male, nel 2014 la Popolare di Vicenza ha offerto 217 milioni – in contanti pagando un premio di circa il 25% in più rispetto alla quotazione di Borsa – per acquistare il controllo della Popolare dell’Etruria. Tutti i giornali hanno riportato questa vicenda: Banca Etruria, che aveva chiuso il bilancio con perdite di circa 80 milioni di euro, pare abbia rifiutato l’offerta non per ragioni strettamente economiche, ma per non creare concorrenza tra il distretto dell’oro di Vicenza con quello di Arezzo, che è uno dei principali territori d’insediamento della Banca toscana.

Credo che i vertici della Banca, invece di pensare alla concorrenza tra i territori di riferimento, avrebbero fatto meglio a porsi la domanda se l’offerta della Popolare di Vicenza fosse congrua o meno, considerando la situazione patrimoniale specifica di quella Banca. Questo episodio ci deve far riflettere sulla professionalità e sulla moralità degli esponenti delle banche. Abbiamo inoltre letto – sempre sui giornali – di richiami di Banca d’Italia a cui non sarebbero seguiti i fatti. La Banca di Piacenza, nel 2013, ha avuto un’ispezione di Banca d’Italia che si è conclusa con un giudizio positivo. Crediamo nel miglioramento continuo e vogliamo fare sempre bene il nostro lavoro per mantenere un rapporto franco e trasparente con l’organo di vigilanza che ci controlla. La trasparenza e l’etica caratterizzano da sempre il nostro operato, dato che da anni la Banca di Piacenza ha adottato un Codice Etico che i nostri dipendenti mettono quotidianamente in pratica attraverso lo svolgimento del loro lavoro.

Anche il rapporto tra la nostra Banca e il Consiglio di amministrazione è regolato da norme precise e trasparenti, codificate in diversi regolamenti approvati dall’Assemblea dei soci e validati dalla Banca d’Italia. Queste norme limitano, in particolare, il cumulo degli incarichi sia per gli Amministratori esecutivi che per quelli non esecutivi, al fine di garantire un’adeguata disponibilità in termini di tempo per l’espletamento dell’incarico di Amministratore della nostra Banca, e disciplinano anche gli affidamenti che vengono fatti alle condizioni di mercato che la Banca applica a tutti i clienti. Ci sono ovviamente regole per il Presidente e per tutti gli altri Amministratori per evitare e gestire eventuali conflitti di interesse, così come ci sono regole severe e precise che stabiliscono i requisiti professionali per la carica di Amministratore. La nostra Banca ha rafforzato tutte le funzioni di controllo, quelle interne con il risk manager e l’internal auditing, l’antiriciclaggio e la compliance. La gestione operativa guidata dal Direttore generale è soggetta alle verifiche delle funzioni di controllo, del Collegio sindacale e della Società di revisione.
 
Di questo clima si stanno avvantaggiando le grandi Banche. Anche Voi state assistendo ad un trasferimento della raccolta (depositi dei clienti) dalle banche locali a quelle nazionali? 

Banca di Piacenza sta mantenendo il proprio livello di raccolta (depositi dei clienti) senza pregiudicare il proprio conto economico. I tassi sui depositi che altre Banche non del territorio stanno proponendo, secondo noi, in certi casi, sono fuori dalle logiche di mercato. Noi diamo un servizio ai nostri clienti, li conosciamo e li frequentiamo, e stiamo mantenendo la raccolta entro i limiti che ci siamo posti per continuare a garantire prestiti alle migliori condizioni di mercato. Nel corso del 2015, comunque, abbiamo registrato un incremento della raccolta indiretta con il risparmio gestito del 18 %.
 
Aumenterà la raccolta anche nel 2016?
 
Il 2016 sarà un anno un po’ particolare, essendo condizionato dalle decisioni della BCE sui tassi e dalle azioni sulle masse monetarie. La raccolta nei mesi scorsi ha beneficiato dei bassissimi tassi d’interesse dei titoli pubblici, con rendimenti che sono stati in alcuni momenti addirittura negativi. Da alcune notizie di stampa abbiamo appreso che Banca Marche, nel 2014, pare abbia proposto un tasso del 5% su depositi vincolati non a lungo termine. In questo scenario è evidente che i risparmiatori dovrebbero fare seri ragionamenti in merito ai rendimenti e ai rischi: alti rendimenti equivalgono ad alti rischi.

Ma oltre ad interessarsi ai rischi legati ai rendimenti, i risparmiatori dovrebbero anche informarsi bene sulla solidità patrimoniale delle banche. L’ indice di solidità (Cet 1) della Banca di Piacenza è molto alto e conferma la nostra grande solidità patrimoniale, nonostante il nostro Istituto sia molto attivo negli impieghi alle famiglie e alle imprese. A settembre 2015 il nostro Cet 1 era pari al 18,2% a fronte del 7% richiesto come valore minimo dall’Autorità di vigilanza; questo significa che la nostra Banca ha un indice di solidità superiore di circa due volte e mezzo al minimo normativo. Questo alto indice di solidità ci ha garantito la promozione a pieni voti, con quattro stelle su un massimo di cinque, nella pagella stilata a fine 2015 da Altroconsumo, la più diffusa Associazione italiana di consumatori che, come noto, non è mai stata particolarmente tenera nei confronti del mondo bancario.

Se nel prossimo futuro il nostro indice di solidità dovesse scendere un po’ è perché avremo aumentato i nostri impieghi in modo significativo: una banca deve essere solida, deve dare credito ad imprese e famiglie ma anche avere una redditività in linea con i rischi assunti. Ci sono grandi Banche che non fanno credito alle famiglie e alle imprese, limitandosi a dare solo buoni consigli sulla gestione del risparmio, che hanno un indice di solidità che arriva a lambire il 30%. Faccio una battuta che mi è venuta in mente leggendo i giornali in questi giorni: a banche piccole corrispondono rischi piccoli, soprattutto se ben amministrate; a banche grandi corrispondono rischi grandi.

Quando alcune banche grandi hanno problemi di solidità, o fanno aumenti di capitale, o vendono parte dei loro attivi oppure si fondono con altri istituti. In merito all’indice di solidità vorrei usare una metafora automobilistica, con le banche rappresentate dalle automobili e con il carburante rappresentato dall’indice di solidità. Un’automobile grande se non ha benzina resta ferma, mentre una vettura che ha benzina, anche se è più piccola, continua ad andare avanti.

La solidità patrimoniale delle banche, quindi, è molto più importante della loro dimensione. E’ importante trasmettere questo concetto ai risparmiatori per tranquillizzarli, altrimenti si tornerà a mettere i soldi sotto al materasso.
 
Oggi i due elementi che mettono in dubbio la reale solidità delle Banche e la veridicità dei loro bilanci sono la valutazione dei crediti verso la clientela (impieghi ad imprese e famiglie) e degli avviamenti pagati per le aggregazioni e le fusioni con altri Istituti. Nel sistema bancario italiano si stima che vi sia una serie variegata (sofferenze, incagli, ecc.) di crediti problematici (non performing loan) per un valore lordo di circa 350 miliardi di euro, solo in parte svalutato e che quindi potrebbe nascondere altre perdite. Non credo che i patrimoni netti delle Banche italiane potranno coprire queste svalutazioni senza ulteriori default. Dai prospetti informativi la Banca di Piacenza detiene una quota di questi crediti assolutamente inferiore alla media del sistema bancario. Conferma questo quadro? 

Abbiamo sempre adottato una politica di bilancio rigorosa e prudente. ll nostro bilancio non registra avviamenti perché la banca non ha acquistato altri Istituti o fatto operazioni di aggregazione. Consiglio ai lettori di valutare bene la solvibilità delle Banche che tra gli attivi hanno consistenti valori di avviamento alti, tanto è vero che i bravi analisti tolgono dal patrimonio netto gli avviamenti e controllano l’indice di solidità sul patrimonio tangibile (patrimonio netto meno attività immateriali: cosiddette intangibili).

Esaminando i nostri crediti problematici, secondo i nostri dati di bilancio più aggiornati, quelli di giugno, il rapporto tra sofferenze lorde (crediti che difficilmente il cliente potrà rimborsare) e impieghi lordi (finanziamenti alle imprese e alle famiglie) è pari al 6,70 %, decisamente inferiore alla media nazionale che, nello stesso periodo, registra un 10,3 %. Banca di Piacenza ha un valore di “sofferenze” inferiore del 40 % rispetto alla media di sistema. Inoltre, sottolineo che il nostro grado di copertura delle sofferenze (svalutazioni dei crediti recepite nel bilancio) è di circa il 57 %, in linea con la media di sistema. Per quanto riguarda le sofferenze nette (crediti inesigibili lordi al netto degli accantonamenti), siamo poco oltre il 3 % mentre il sistema è al 5,2 %.

La politica di prudenza che adottiamo da sempre ci ha permesso di avere questo grado di copertura. Con le nuove regole della vigilanza, tutte le Banche sono state costrette ad incrementare le coperture dei crediti problematici. Se non ci fossero le Banche del territorio che sostengono le imprese locali, resterebbero solo le grandi Banche che a volte tendono a perdere di vista il piccolo imprenditore, l’artigiano, cioè il cliente tipico delle piccole Banche.
 
Dato che le vostre obbligazioni non sono quotate (le obbligazioni quotate hanno un grado di liquidità superiore perché possono essere vendute sui mercati regolamentati come la Borsa italiana), sul fronte dei prestiti obbligazionari e con il “bail in” in vigore, non temete di subire la concorrenza di altri istituti che hanno potuto quotare questi strumenti? 

Noi celebreremo quest’anno l’80esimo della fondazione della Banca di Piacenza, che fu fondata dopo la crisi bancaria del 1929 per dare un sostegno alle piccole aziende, all’artigianato e al mondo agricolo. Nel corso dei decenni gli strumenti tradizionali del conto corrente e del libretto di risparmio sono mutati e sono stati affiancati da altri, con una proliferazione di nuovi prodotti negli ultimi tempi. Sul tema raccolta siamo tranquilli, ma dobbiamo dare ai nostri depositanti, a chi ci dà fiducia, lo strumento più adatto.

L’obbligazione era apprezzata, ma forse si sta tornando a preferire il conto di deposito vincolato. Questa banca in 80 anni di vita non ha mai venduto ai propri clienti prodotti derivati, che spesso assomigliano a delle scommesse più che a prodotti di gestione del risparmio. Non abbiamo mai emesso obbligazioni subordinate, uno strumento tecnico che è stato di moda negli ultimi anni.

Questo strumento è stato utilizzato soprattutto da istituti in crisi di solidità che avrebbero dovuto fare un aumento di capitale per riordinare la loro situazione patrimoniale; non trovando investitori, piccoli o grandi, per raccogliere capitali, queste banche hanno deciso di collocare obbligazioni subordinate, una speciale categoria di obbligazioni con un grado di rischio assimilabile alle azioni.

Le obbligazioni subordinate non devono essere considerati strumenti di debito tradizionali, ma la loro natura li rende più simili al capitale proprio. Sono emesse dalle aziende perché rappresentano spesso un’alternativa al più costoso collocamento di azioni. Qui occorre tornare al vero tema per i risparmiatori: a prodotti finanziari con alti rendimenti corrispondono rischi maggiori.

Le obbligazioni sono importanti come base di raccolta stabile, ma ultimamente la clientela si sta orientando sui conti di deposito vincolati, più snelli, e che per la Banca rappresentano comunque una forma di raccolta stabile. E’ vero che le nostre obbligazioni non sono quotate in borsa, ma la loro emissione è stata comunque accompagnata da un prospetto Consob obbligatorio, in cui sono stati riportati tutti i principali indici finanziari ed economici della Banca.
 
La Bce con l’applicazione del QE inventato da Mario Draghi per immettere liquidità nel sistema del credito europeo ha messo a disposizione di tutte le Banche europee una rilevante liquidità, con lo scopo che poi le Banche aumentassero i prestiti alle imprese e alle famiglie. Quanti soldi avete ricevuto a titolo di finanziamento dalla Bce e a che tasso? 

Su questo tema abbiamo fatto varie riflessioni in diverse sedute del Consiglio di amministrazione, dato che, in senso stretto, non avevamo bisogno di queste risorse. Siamo solidi, siamo liquidi e solvibili e abbiamo un tasso di impiego sui depositi intorno all’80%. Abbiamo tuttavia deciso di accettare le risorse messe a disposizione della Bce, considerando che fosse uno strumento tecnico che potesse darci il vantaggio di aumentare gli impieghi disponibili per la nostra clientela.

Abbiamo ricevuto dalla BCE, complessivamente, 202 milioni di euro, con un tasso per la prima tranche da 107 milioni fissato allo 0,15 % e per le tranche succesive dello 0,05 %, che è esattamente il tasso applicato dalla BCE in questo momento.
 
Come molti Istituti di credito anche Banca di Piacenza ha recentemente ceduto a terzi una parte di crediti problematici con lo scopo di migliorare i propri indici di bilancio ci può dare qualche indicazione su questa operazione? 

Anche in questo caso abbiamo voluto utilizzare uno strumento di mercato che prevediamo di usare anche nei prossimi anni. Riprendo a questo proposito quello che afferma il presidente dell’Abi Patuelli, che l’unione bancaria va bene ma occorre anche uniformare le regole.

Se c’è una banca italiana a Sanremo e una francese a Nizza, a distanza di pochi chilometri, in Francia si possono dedurre subito tutte le perdite sui crediti indipendentemente dalle vendite, da noi invece fino al 2014 bisognava attendere 10 anni per poterle ammortizzare, prima erano addirittura 18; solo dal prossimo anno sarà possibile dedurli interamente nell’esercizio in corso.

Per quanto ci riguarda, visto il forte interesse di investitori anche stranieri, abbiamo deciso di vendere al miglior offerente un pacchetto di crediti problematici con una regolare asta secondo le normative. La vendita ha comportato un incasso per la Banca di circa il 35% del valore nominale dei crediti venduti.
 
Avete un programma di espansione o di apparentamento con qualche altro soggetto bancario nei prossimi anni? 

Il piano strategico approvato dal Consiglio di amministrazione e presentato alla Banca d’Italia prevede una crescita organica, interna, basata sulla vendita di prodotti a più elevato valore aggiunto, come il risparmio gestito. Un tempo le Banche non vendevano prodotti assicurativi, poi hanno iniziato a farlo e anche noi abbiamo migliorato in questo settore che garantisce utili e, al tempo stesso, offre vantaggi ai risparmiatori.

Abbiamo redatto un piano che prevede una crescita in particolare nei settori a più alto valore aggiunto, anche se vogliamo mantenere la nostra funzione di Banca del territorio e mantenere le nostre radici qui, senza rinunciare a estendere qualche “fronda” sul versante lombardo, dato che la Lombardia produce un quinto del Pil italiano. Come qualsiasi famiglia che ha l’appartamento in affitto e sceglie di passare alla proprietà, abbiamo trasformato le due filiali di Milano che avevamo in locazione in un’unica sede di proprietà, acquistata ad un’asta a un prezzo molto conveniente, dove possono lavorare fino a venti persone.

L’operazione ci ha fatto risparmiare dei costi. In questa nuova sede c’è una squadra composta da persone di esperienza che ha il compito di valutare attentamente operazioni di raccolta e di impiego con un rapporto bilanciato tra rendimento e rischio; a Milano, che è anche la sede della nostra Area territoriale 2, contiamo di avere un ritorno in termini di espansione. Non pensiamo assolutamente ad acquisizioni o ad aggregazioni e manterremo la nostra indipendenza assoluta.
 
Avete intenzione di razionalizzare i costi chiudendo degli sportelli sul territorio, anche tenuto conto della diffusione delle nuove tecnologie? 

Delle due filiali di Milano, come detto, ne abbiamo creata una sola, più efficiente e tecnologica. Stiamo cercando anche di razionalizzare altrti sportelli sul territorio. Ad esempio abbiamo chiuso due agenzie a Piacenza ricollocando tutti i dipendenti e senza perdere neppure un cliente. Abbiamo raggruppato due filiali anche a Lodi perché la linea che abbiamo definito nel nostro piano strategico è quella di creare agenzie che siano al servizio della clientela, per aumentarne la soddisfazione, incrementando al contempo anche i ricavi.

Stiamo concentrandoci su alcune filiali che costituiscono degli snodi, filiali che chiamiamo complesse, dove siamo in grado di offrire un servizio a 360 gradi. Il cliente che si presenta da noi troverà l’esperto di investimenti in titoli, l’esperto di affidamenti per piccole aziende e per famiglie. Abbiamo inoltre recentemente creato due nuovi Centri che stanno dando ottimi riscontri, uno per il settore immobiliare con specialisti che aiutano a risolvere i problemi con soluzioni innovative, e uno per le imprese per l’assistenza alle aziende con più di 5 milioni di fatturato o con affidamenti superiori ai 500mila euro.

La clientela vuole sempre più strumenti informatici e in questo senso ci stiamo attrezzando anche con bancomat intelligenti, dopo aver potenziato i nostri servizi on-line che consentono di svolgere praticamente tutte le operazioni bancarie tramite smartphone, pc o tablet. In teoria il cassiere non servirebbe più in presenza di questi strumenti, ma noi lo manteniamo perché restiamo una banca tradizionale che dispone delle tecnologie ma fa perno sulle persone. In tema di razionalizzazione della rete degli sportelli, l’obiettivo dei prossimi tre anni è quello di ottimizzarla per incrementare ulteriormente l’efficienza aziendale.
 
 Anche sul personale avete fatto un’operazione di ricambio importante… 

Ci sono stati due piani di prepensionamento su base volontaria che hanno portato al pensionamento di una sessantina di persone, mentre la scorsa estate abbiamo assunto 27 giovani, tutti laureati. Sono entrati in servizio in vari ruoli generando un entusiasmo nuovo anche negli altri dipendenti. Hanno portato la loro visione e anche idee innovative, soprattutto legate alle nuove tecnologie. Q

uesta operazione ha aiutato anche il bilancio. I dati del preconsuntivo 2015 ci fanno prevedere che l’utile d’esercizio sarà superiore a quello dell’anno precedente di circa il 20 %, e quindi dovrebbe attestarsi intorno ai 12 milioni di euro netti, nonostante quest’anno il nostro Istituto abbia dovuto accantonare circa 2.700.000 euro per le nuove disposizioni europee sulla tutela dei depositi e per il salvataggio delle quattro banche di cui abbiamo più volte parlato, che sono state salvate, oltrechè a spese di azionisti e obbligazionisti subordinati, anche grazie all’intervento del sistema bancario nel suo complesso con la ripartizione degli oneri relativi tra tutti gli Istituti che operano sul territorio italiano.
 
Ultima questione, la politica dei dividendi per il bilancio 2015 che presto sarà sottoposto all’assemblea dei soci è già stata stabilita? 

La nostra banca, in questi suoi primi 80 anni di storia, ha sempre remunerato il capitale dei soci distribuendo i dividendi. Anche quest’anno, considerando i positivi risultati già evidenziati dal preconsuntivo, credo che il Consiglio di amministrazione, in sede di approvazione del bilancio, proporrà la distribuzione di un dividendo in linea con le migliori prassi di mercato.

 

 

Mauro Peveri
mauro.peveri@gmail.com

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