Film festival, a Bobbio quasi tutto pronto. Moliterni: “Critica non è scienza”

Intervesta al critico sul corso che terrà all’inerno del festival

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Tutto pronto o quasi, a Bobbio. Perché se il cartellone dell’edizione 2013 del Film Festival (27 luglio-10 agosto) diretto da Marco Bellocchio sarà fra pochissimo reso noto a tutti, il Festival si è già mosso e si sta già muovendo.

Uno dei progetti più interessanti promossi dalla rassegna è, ad esempio, il seminario residenziale di critica cinematografica, uno spazio più che mai intenso ed intensivo dedicato a penne che hanno bisogno di aggiornamento, ma soprattutto a quei ragazzi, magari universitari, che desiderano entrare nell’articolato mondo della critica cinematografica dalla porta principale. Il bando del seminario, consultabile sul sito ufficiale del Festival, parla chiaro circa la sostanza del corso: si tratta di numerosi laboratori e lezioni, tenute dai critici della rivista Duellanti, ma non solo. Affiancate dalla visione dei film, le esercitazioni riguarderanno la recensione, il lavoro sul ritmo della scrittura, l’analisi del film e l’ìntervista. I partecipanti, oltre a vivere il Festival sempre in diretta, avranno modo di confrontarsi quotidianamente con attori e registi, e saranno chiamati a far parte della giuria, ovviamente presieduta dal maestro Bellocchio, che a fine Festival incoronerà il film vincitore. Le richieste di partecipazione (c’è anche la possibilità di una borsa di studio) vanno inviate entro domenica 14 luglio a seminario.critica@libero.it (per ogni dettaglio, è comunque opportuno visitare il sito del Bobbio Film Festival). 

A dirigere il Seminario, Ivan Moliterni, critico “Duellante” a cui abbiamo chiesto qualche lume su questo affascinante corso. “La critica cinematografica non è una scienza, siamo nel terreno dell’argomentazione, della retorica, più che altro. Non consiglio mai di inseguire il giudizio di valore assoluto, sebbene un minimo sindacale di obiettività sia richiesto. E questo “minimo” dipende dalle conoscenze che un critico deve per forza possedere. Il critico deve conoscere la storia del cinema, capire quale impatto un film può avere sulla nostra società, sulla nostra cultura. Deve capire e decifrare gli svariati linguaggi del cinema. Se tutto questo manca, ci si riduce a dar voce ad opinioni che mancano di autorevolezza e credibilità”.

Nel corso mostrate esempi positivi e negativi di come “si fa/non si fa” cinema?
“Sì, ma in realtà ci concentriamo più sulla critica della critica: cosa poteva dire il critico riguardo a questo film? Cosa gli è sfuggito? Il nostro è un lavoro teorico-pratico che cerca di dare consapevolezza a chi si occupa di cinema. A noi interessa che il critico esca dal suo bozzo e si confronti con registi e attori, vogliamo che non si innamori troppo dei “suoi” viaggi, ma dei viaggi proposti dal cinema. Vorremmo che il nostro critico si attenesse a ciò che vede e non a ciò che vorrebbe vedere o si aspetta di vedere”.

Qual è l’approccio alla critica di voi Duellanti?
“La nostra idea è che ogni film merita. Non “merita per forza di essere visto”. Merita di essere giudicato per ciò che è, merita una critica. Sembra un’idea banale, ma non lo è. Troppi critici, aspiranti e non, tendono a vedere solo ciò che vogliono. Semmai questo se lo può permettere il pubblico, ma se a un critico manca la curiosità di scoprire l’ignoto, lasci subito perdere (ride, nda)”.

Credi che vi siano film o registi particolarmente didattici?
“Ritengo che i film di genere siano perfetti per capire le regole, più o meno rigide, che strutturano le commedie, gli horror, i thriller… Non si può capire l’horror italiano contemporaneo senza conoscere Fulci o Bava. Anche il cinema giapponese degli anni ’90, per esempio, è particolarmente significativo per come ha rivoluzionato diversi canoni del cinema odierno”.

Visto lo straordinario numero di saggi cinematografici in circolazione, consiglieresti mai a un critico, ad un certo punto, di non leggere oltre, di non ammassare ulteriori competenze? Per evitare di perdere lo “stupore” del cinema?
“Il critico deve sforzarsi di rimanere sempre spettatore, anche se le sue competenze aumentano. Il critico dev’essere un po’ un animale a sangue freddo, deve saper distinguere fra la sua reazione emotiva e gli spunti di riflessione oggettivi che un film fornisce. Deve saper riflettere, ad esempio, sui meccanismi produttivi del cinema, avere insomma quella lucidità per capire che ciò che gli gonfia il cuore e gli occhi non è necessariamente un capolavoro assoluto”.

Il cinema ti sorprende ancora?
“Sì,ma il cinema inteso come magia è finito da un bel po’. Oggi tutti vanno al cinema un po’ più cinici”.

Cos’è la critica al tempo di Internet? Oggi che un utente di qualsiasi forum può sparare 3.600 caratteri in un post e diventare anch’egli una voce critica in più?
“Il ruolo della critica cambia sempre. La critica non ha un’utilità pratica perché in genere non sposta di un millimetro le scelte del pubblico. Serve poco agli autori perché dubito che un regista cambi strada dopo qualche stroncatura. Serve ancora oggi, però, a quello spettatore che nel cinema cerca qualcosa di più. A quello spettatore che prolunga il piacere della visione del film con l’analisi di quest’ultimo”.

Un difetto e un pregio del cinema italiano odierno.
“Il difetto principale è che raramente il cinema italiano sa essere ambizioso, sa creare aspettative alte. L’ultimo film di Sorrentino, “La Grande Bellezza”, può piacere o meno, ma è innegabile che possiede una magniloquenza non ignorabile. Talvolta il problema può essere anche di budget (a Hollywood girano altre cifre), ma spesso il cinema italiano fatica comunque a trovare un linguaggio che possa efficacemente aggiornare la descrizione dei suoi mondi. Ci sono figure, penso all’extracomunitario tanto per dire, che non cambiano da 20 anni a questa parte. Il pregio è legato invece al fermento dei giovani autori. Un fermento che la stessa critica talvolta fatica ad intercettare. Invece di idee nuove ne circolano, soprattutto nei corti e nei documentari. Vedi ad esempio i documentari di Andrea Segre, che partono piano e con la forza del loro linguaggio riescono ad arrivare quasi ovunque”.

Emiliano Raffo

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