Una domenica nel segno della Memoria, le manifestazioni FOTO foto

Al Giardino della Memoria al civico 6 dello Stradone Farnese si è tenuta la tradizionale cerimonia istituzionale che celebra la ricorrenza, con gli interventi ufficiali del sindaco Paolo Dosi e del presidente della Provincia Massimo Trespidi

Giorno della Memoria 2013, una domenica all’insegna del ricordo. Al Giardino della Memoria al civico 6 dello Stradone Farnese si è tenuta la tradizionale cerimonia istituzionale che celebra la ricorrenza, con gli interventi ufficiali del sindaco Paolo Dosi e del presidente della Provincia Massimo Trespidi. Hanno portato la propria testimonianza tre studenti – Silvia Manini del liceo Respighi, Gabriele Simonetta e Ryan Kunzle dell’Isii Marconi – che hanno preso parte al “viaggio della memoria” nel 2012. Come ogni anno, presente una folta rappresentanza delle sezioni piacentine dell’associazione nazionale Combattenti e Reduci, dell’associazione nazionale Combattenti della guerra di Liberazione inquadrati nei reparti regolari delle Forze Armate e dell’associazione nazionale Reduci dalla prigionia e dall’internamento.

Il discorso del sindaco di Piacenza Paolo Dosi per il Giorno della Memoria

Quando, il 27 gennaio di sessantotto anni fa, si riaprirono alla vita i cancelli di Auschwitz, era ancora in parte inimmaginabile, all’esterno, l’orrore che si celava tra le baracche dimesse, nelle ciminiere tristemente protese verso il cielo, dietro la retorica infida della scritta posta all’ingresso: Arbeit Macht Frei. E’ così che ripercorrere le tracce di quel dolore, nel Giorno della Memoria, significa rendere il commosso tributo della nostra comunità alle vittime della Shoah, ma anche ribadire con forte convinzione che ciò che è stato non si può dimenticare, non si può tacere, non si può ignorare.
A ricordarcelo sono le testimonianze struggenti e inequivocabili di chi ha subito la persecuzione, le umiliazioni, gli stenti della deportazione, come quella di Uri Orlev, che avremo la straordinaria opportunità di ascoltare più tardi, all’auditorium della Fondazione. Sono i segni tangibili di quella tragedia immane: i cumuli di ciocche di capelli, gli indumenti logori, le lettere sbiadite che ancora oggi, in quei luoghi di prigionia, si ergono a simbolo senza tempo di un cammino spezzato. Sono le scarpette rosse di Buchenwald, di cui scrive Joyce Lussu, “numero ventiquattro per l’eternità… quasi nuove, perché i piedini dei bambini morti non consumano le suole”.

Frammenti di storia che vanno a comporre un mosaico di fronte al quale – e in questa circostanza, in cui l’emozione si intreccia inevitabilmente alla solennità della cerimonia, me ne rendo conto più che mai – torna alla mente ciò che disse Primo Levi: “Ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo”. Credo, allora, che non ci si debba domandare se esiste un modo giusto, o più esaustivo di altri, per raccontare l’Olocausto, per tentare di trasmettere alla società contemporanea l’immagine vivida di milioni di corpi sviliti e marchiati con brutalità inaudita, la violenza con cui sono state disgregate famiglie intere e relazioni affettive, la follia dell’incitamento ossessivo all’odio razziale, all’annientamento dell’individualità e del diritto a esprimere se stessi e il proprio credo religioso, le proprie radici etniche, il proprio orientamento politico. Persino i propri sentimenti.
Nessun discorso ufficiale, per quanto vibrante e accorato nel suo rifiuto dei revisionismi e nel considerare intollerabile ogni tentativo di giustificare i crimini nazifascisti, potrà rendere onore a sufficienza a chi, di quell’ideologia malata, ha sofferto le estreme conseguenze. Eppure, ritengo che la nostra volontà di essere presenti in questa ricorrenza, attribuendole un significato pieno e vitale, sia un seme prezioso da coltivare per il futuro. La celebrazione del Giorno della Memoria non è l’osservanza di un rito vacuo o formale, ma comporta un impegno concreto affinché il silenzio non possa cancellare, né ora né mai, la consapevolezza di ciò che è accaduto.

E’ il monito racchiuso nei versi di Martin Niemoller, pastore evangelico deportato a Dachau: “Prima vennero per gli ebrei, e io non dissi nulla perché non ero ebreo. Poi vennero per i comunisti, e io non dissi nulla perché non ero comunista. Poi vennero per i sindacalisti, e io non dissi nulla perché non ero sindacalista. Poi vennero a prendere me. E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”. Ecco, questo è il cammino che ci porta ad essere qui oggi, tra gli stendardi delle associazioni combattentistiche, tra i volti di chi ha attraversato la durezza della guerra e quelli degli studenti cui consegniamo, come un bene da custodire e proteggere, quel patrimonio condiviso che si fonda sul ricordo e sulla conoscenza. E’ l’esortazione a non restare insensibili ai problemi altrui. E’ l’appello a non essere indifferenti alle discriminazioni, anche se non ne siamo noi il bersaglio. E’ l’insegnamento a coltivare una solidarietà autentica, che non derivi solo dalla comunanza di interessi o da affinità personali, ma ci porti ad ascoltare la richiesta di aiuto che giunge anche da chi è lontano, o semplicemente appare diverso da noi.

Sono ancora le considerazioni di Primo Levi a farci riflettere in tal senso, quando osserva che “a molti, individui o popoli, può accadere di ritenere che ogni straniero è nemico…”; è nel momento in cui questa convinzione, spesso latente, diventa origine di un sistema di pensiero, che si arriva alla creazione del Lager, come “prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finchè la concezione sussiste – ci avverte Levi – le conseguenze ci minacciano”.

Credo che ciascuno di noi debba ascoltare questo richiamo nella propria quotidianità, e lo ribadisco con sincera adesione non solo come sindaco, ma ancor prima come cittadino di un Paese democratico, la cui Costituzione sancisce i princìpi dell’uguaglianza e della libertà come cardini irrinunciabili della nostra società. Facciamone tesoro, perché non debbano più succedere episodi come quelli, vergognosi, che si sono verificati a Napoli, in cui tra parole e discorsi intrisi di odio antisemita, qualcuno ha proposto di picchiare e violentare una studentessa la cui unica “colpa” – agli occhi degli aggressori – è di essere ebrea. Ed è ancor più amaro constatare che questo odio venga dipanato dai figli di esponenti del Parlamento della Repubblica.
Facciamo nostra la speranza di Elisa Springer, nata a Vienna e deportata ad Auschwitz nell’agosto del 1944: che il racconto di chi è sopravvissuto ai campi di sterminio – nella memoria del sacrificio di tanti innocenti – serva invece “a far crescere comprensione e amore”. Grazie.

Intervento del presidente della Provincia Massimo Trespidi

Buongiorno a tutti i presenti, alle autorità, ai cittadini, a voi studenti,

il compito che ogni anno spetta in questo Giorno della Memoria ai rappresentanti delle istituzioni è un impegno importante, doveroso oltre che estremamente doloroso. Di fronte a voi e con l’animo unito a quanti in queste stesse ore stanno celebrando nel mondo il ricordo della distruzione operata dalla Shoah, ricordiamo oggi quello che è stato. Il nostro compito non si esaurisce nella preghiera, nel silenzio e nel raccoglimento: quello che ci è intimamente chiesto è di diventare noi stessi testimoni di quello a cui la storia ha assistito negli ultimi 80 anni. Il nostro dovere – e quello delle giovani generazioni – è non solo di non dimenticare, ma anche – e soprattutto – di costruire noi stessi memoria. Sto parlando di un ruolo attivo e mai passivo che possa contribuire a tramandare una delle più incommensurabili ferite della nostra storia.

“Quelli che sopravvivono nelle situazioni difficili spesso sono persone che hanno una curiosità maggiore della paura”. Questa frase ricorre spesso nella letteratura mondiale: l’ha scritta Al Siebert, uno psicologo americano, e l’hanno riportata anche diversi scienziati. Chi l’ha fatta propria per sopravvivere nel Ghetto di Varsavia e poi nel campo di concentramento è stato Uri Orlev, questa mattina ospite a Piacenza e protagonista del convegno che si terrà nell’Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano immediatamente dopo il termine della commemorazione. Orlev, oggi scrittore di fama internazionale e con alle spalle una profonda passione per i libri e la lettura, ha vissuto la prigionia nel campo di Bergen-Belsen e oggi è pronto a raccontare a noi quello che lui ha vissuto. Lo stesso Orlev che avrebbe preferito arrampicarsi durante la sua infanzia sugli scaffali di una biblioteca per scoprire con sorpresa cosa avevano da comunicargli scrittori e poeti. La sua forza, il suo coraggio, simile e per questo unico, a quello di quanti ancora oggi non smettono di testimoniare la Shoah, sono il simbolo estremo della capacità umana di sopravvivere. La curiosità verso il futuro, verso le sfide, verso quello che la vita può offrire a un bambino, come nel caso di Orlev, o a un giovane o un adulto, come ai giorni nostri, è la chiave per costruire memoria. Ricercare, leggere, studiare, visitare, osservare, digitare, viaggiare: così – con la curiosità che sempre stimola la tensione verso qualcosa – potremmo assolvere a pieno al nostro impegno: quello della memoria.

Ciò che conta è dunque rimanere attivi nella Memoria. Così come gli stessi sopravvissuti all’Olocausto oggi chiedono anche solo con la loro stessa presenza. “Il mondo – racconta Elie Wiesel, scrittore rumeno sopravvissuto all’Olocausto – si era rifiutato di sentire, di ascoltare e i testimoni, allora, non parlarono, lasciando che per anni si consumasse l’orrore”. “L’opposto di amore – disse Wiesel – non è odio, ma indifferenza, l’opposto di morte non è vita è indifferenza”. Quello che noi oggi dobbiamo combattere è dunque l’indifferenza. A disposizione abbiamo un’arma: la nostra curiosità.

Giorno della Memoria: Polledri (LN), Vigili sulla bestia che ha provocato lo sterminio

Roma, 27 gennaio 2013. «E’ responsabilità nostra e delle prossime generazioni celebrare la Giornata della Memoria e ricordare lo sterminio nazista. Ancora oggi ci sono Stati che negano l’orrore della Shoah: gli attacchi dell’Iran a Israele lo dimostrano e devono rappresentare un campanello d’allarme. A distanza di tanti anni inoltre, con un linguaggio diverso, meno strillato ma comunque subdolo, c’è ancora chi parla di vita degna o indegna di essere vissuta, come i nazisti facevano con ebrei, omosessuali, zingari. E’ necessario ricordare quei morti ma è ancor più importante essere vigili sulla bestia che li ha provocati, perché essa vive negli uomini». E’ il pensiero di Massimo Polledri, esponente della Lega Nord, nel Giorno in cui si ricordano le vittime dell’Olocausto.

Nel pomeriggio di domenica, alle 17.30 e alle 19, la compagnia teatrale Manicomics riproporrà al Teatro San Matteo, per la cittadinanza, lo spettacolo “Una scala per le fragole”, già allestito per le scuole. A Palazzo Farnese, invece, in collaborazione con il Centro culturale italo-tedesco, alle 16.30 nella sala VII dei Musei Civici lo scrittore e saggista Nicola Montenz terrà la conferenza “La violinista di Dio”, mentre alle 17.30, nella Cappella Ducale, è in programma il reading musicale “La vita in un barattolo”, con Irma Zanetti e la Muzicobando Klezmer Band. In serata, alle 21.30, il salone Nelson Mandela della Camera del Lavoro ospiterà il concerto di musica tradizionale Klezmer del Klezband Trio, promosso da Arci.

Lunedì 28 gennaio, alle 16.30, sarà dedicato alla memoria l’appuntamento con il ciclo “Un film da raccontare”: nella saletta Balsamo della biblioteca Passerini Landi, Chiara Dainese presenterà “Miracolo a Sant’Anna” di Spike Lee.  Alle 20.45, la sede di via Manzoni della scuola Faustini-Frank-Nicolini aprirà le porte a tutti i cittadini interessati per la presentazione del libro “La penna di Anne” di Aidan Chambers, a cura di G. Zucchini, seguita dallo spettacolo “Meditate che questo è stato”, proposto dal laboratorio “Teatro della Memoria”. 

LA CONSEGNA DELLE MEDAGLIE D’ONORE IN PREFETTURA

Nell’ambito delle celebrazioni del Giorno della memoria, presso la Prefettura martedì 29 gennaio alle ore 11, alla presenza delle autorità militari, civili e religiose, nonchè delle associazioni combattentistiche, si svolgerà la celebrazione di consegna delle medaglie d’onore concesse ai cittadini italiani (ovvero ai familiari dei deceduti) che sono stati deportati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per economia di guerra nell’ultimo conflitto mondiale.

In ambito provinciale saranno cinque gli insigniti dell’alto riconoscimento: Mario Cristalli, Elio Nicollini e Pietro Rapaccioli e, alla memoria, Attilio Bonatti e Antonio Cattivelli.

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